VILLINO ROSSI

SCHIO, VICENZA

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VILLINO ROSSI
La palazzina venne fatta edificare nel 1876 da Alessandro Rossi, contestualmente alla realizzazione del nuovo quartiere operaio concepito per offrire una soluzione abitativa alle maestranze del lanificio. Essa rappresenta uno degli episodi architettonicamente più rilevanti all'interno del quartiere operaio stesso. L'architetto di fiducia di Rossi Antonio Caregaro Negrin progettò per Giovanni, uno dei figli di Alessandro, una residenza in stile eclettico, in equilibrato compromesso tra palazzo urbano e villa di campagna[1]. Nel 1896/98, su progetto dell'ingegner Gaetano Rezzara, venne realizzato l'ampliamento dell'edificio, adottando scelte stilistiche in linea con quelle esistenti; il villino raddoppiò così la sua cubatura, a discapito del grande giardino di pertinenza, che venne quindi ridimensionato[1]. Alla morte del barone Giovanni Rossi, nel 1935, il villino venne lasciato in eredità allo Stato, che ospitò la casa del fascio e tutte le attività annesse al partito fascista, compresa la biblioteca popolare fascista Eleonoro Pasini[2]. Nel secondo dopoguerra divenne sede degli uffici del catasto edilizio e delle imposte. Trasferiti tali uffici in sedi più idonee negli anni duemila, la villa, di proprietà del demanio, rimane a tutt'oggi inutilizzata ed è in abbandono totale.
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