La villa venne costruita nel 1636 dal conte Scheriman, livellario della Certosa di Calci proprietaria dei terreni, come un massiccio edificio a pianta quadrata, ubicato sulla cime di un colle. Un disegno, eseguito intorno al 1735 e conservato alla Biblioteca Labronica, ci fornisce i dettagli dell'edificio nel suo originale aspetto. La costruzione si presentava come una imponente residenza di campagna con le tipiche linee austere che contraddistinguevano le ville del Livornese. Caratterizzato da quattro avancorpi laterali che ricordavano le torrette di un edificio tardo rinascimentale di chiaro richiamo fiorentino, l'edificio era solo ingentilito da un frontone alla sommità della facciata avente richiami alle linee baroccheggianti "a scartoccio" ove era alloggiato un orologio, sul quale campeggiavano quattro statue su balaustre a colonnini. L'ingresso era coperto dal porticato aperto, tuttora esistente anche se tamponato ai lati con paramento a bugnato che riprendeva l'opera a scarpa degli angoli della casa.
La villa e la relativa tenuta agricola furono vendute dagli Scheriman nel 1822, passando quindi a Giovanni Grant; nel 1843 il complesso fu acquistato dal ricco Emanuele Rodocanacchi. Nel 1846 i nuovi proprietari apportarono delle trasformazioni all'edificio, assorbendo i quattro contrafforti angolari con il loro allineamento nel corpo della costruzione; nella seconda metà dell'Ottocento così assume l'imponenza di una nobile residenza campestre con la sua elegante terrazza coperta in ferro e vetro, valorizzata la vasto prato ovale che la fronteggia, continuando a richiamare nel suo complesso gli stilemi architettonici del Cinquecento fiorentino, trasformandosi nel messaggio sociale che trasmette in un'opera rappresentativa e celebrativa dell'agiatezza familiare dei padroni. Le modifiche esterne furono definite dall'architetto Castellucci di Firenze nel primo decennio del Novecento.
Ulteriori modifiche però, fatte nel secondo dopoguerra, senza alcun rispetto per l'originale impianto storico, la rendono oggi irriconoscibile: è il caso dell'ultimo piano aggiunto che ne squilibria le proporzioni o l'aggiunta dei terrazzi aggettanti che ne deturpano le linee volumetriche.
Veduta della villa
Da alcune antiche foto, rilevabili presso la raccolta fotografica di Villa Maria, si nota il gusto sontuoso ed eclettico degli interni. Gli ambienti secondo il gusto dell'epoca erano arredati con tappezzerie, tappeti orientali, mobili di varia fattura, bronzi, statue, quadri, soprammobili, argenteria, candelabri, completati da pesanti carte da parati, quasi a voler perseguire quel principio filosofico dell'"horror vacui" che caratterizzò le case benestanti della fine del XIX secolo. La villa aveva anche alcuni affreschi nelle stanze di rappresentanza: una Glorificazione della Musica nel salone dei ricevimenti del primo piano ed un gruppo di putti in volo nella sala da pranzo, entrambe attribuite a Giuseppe Maria Terreni e non più esistenti. Si ha notizia anche di due medaglioni opera di Bertel Thorvaldsen raffiguranti il Giorno e la Notte ed eseguiti nel suo soggiorno a Montenero, ospite dei baroni Schubart.
Di notevole suggestione anche la terrazza di facciata coperta con loggiato in ferro e vetro e rifinita con una artistica balaustra a mascheroni, ancora visibile. Da ricordare il grande pavimento a mosaico dell'architetto Bertini (1886) con arabeschi e figure di ispirazione orientale.