Villa Bianchi, capolavoro dell'architettura razionalista lodigiana del terzo decennio del Novecento, appartenente a una stagione di ricerca sperimentale che ha regalato significativi contributi al rinnovamento architettonico della città di Lodi. Il progetto è firmato dall'ingegnere Pietro Grignani (1906-1988) personalità sensibile al dibattito architettonico di quegli anni (in particolare quello europeo) formatosi al Politecnico di Milano e poi maturato nelle esperienze professionali con grandi Maestri, primo tra tutti Giovanni Muzio, di cui Grignani è stato amico e collaboratore. Lodi nel ventennio è una città che, come tante altre in Italia, vive la contraddizione di una ricerca progettuale che oscilla tra avanguardia razionalista e monumentalismo accademico. In questo contesto Grignani trova il proprio ruolo nell'impegno sociale del progetto, proseguito anche nel dopoguerra con la realizzazione di numerose opere pubbliche e con l'esperienza di assessore comunale (dal 1951 al 1957) negli anni della ricostruzione. I familiari lo raccontano come una personalità dall'animo semplice, stimato per la sua assoluta integrità morale, ricordato per i suoi ideali di giustizia sociale, causa anche di un provvedimento disciplinare da parte del Regime. A Lodi e dintorni, tra le sue realizzazioni più significative, ci resta l'Istituto Lodigiano Scuole Professionali (1939), la colonia Elioterapica di Boffalora d'Adda (1941), la scuola Santa Francesca Cabrini (1949/51) e la sede della Croce Rossa Italiana. Ma è soprattutto nella committenza privata che Grignani sperimenta il proprio stile libero. E in particolare nel progetto di Villa Bianchi (1933), che rimane la realizzazione più originale dei suoi primi anni di attività. E' un'abitazione unifamiliare immersa in un giardino all'interno di un lotto triangolare, con il piano terra, con accesso indipendente, riservato al personale di servizio, e con il primo piano destinato alla residenza della famiglia, raggiungibile da un'ampia scala esterna. Tutti gli spazi sono organizzati con grande sapienza compositiva attorno ad una seconda scala interna, che conduce alla copertura terrazzata, ritmata da un porticato con pilastri in c.a. Il progetto è raffinato, oltre che nel rigore delle linee e dei volumi puri, soprattutto per alcuni piccoli accorgimenti. L'edificio è stato completato solo alla fine degli anni '30 e ha poi subito alcune piccole modifiche negli anni '70. E' stato però il precoce abbandono, dovuto ad un contenzioso tra gli eredi, a mettere in crisi il raffinato documento del Moderno. Forti oggi sono i segni di degrado negli intonaci esterni, nei serramenti e nei pavimenti in corro, mentre le strutture in calcestruzzo armato e i tamponamenti in laterizio sono in buone condizioni. Malgrado le precarie condizioni attuali, la Villa comunica ancora tutta la sua delicata originalità.