Il complesso venne progettato dall'architetto Francesco Di Salvo ed era originariamente composto da 7 edifici su un'area di 115 ettari;
Esse restano, nonostante tutto, l'opera realizzata che meglio rappresenta la poetica architettonica del progettista.L'esordio di Di Salvo nell'ambito della progettazione per l'edilizia economica e popolare risale al 1945 con la realizzazione, in collaborazione con altri architetti, del Rione Cesare Battisti a Poggioreale, che rappresentò all'epoca il paradigma di una «nuova maniera di pensare» la residenza sociale.Dopo anni di continue sperimentazioni progettuali, si vide affidare dalla Cassa del Mezzogiorno l'incarico di realizzare a Scampìa un grande complesso residenziale.
Furono costruite tra il 1962 e il 1975 su un progetto dall'architetto Franz Di Salvo ispirato all'Existenzminimum, una corrente architettonica per la quale l'unità abitativa del singolo nucleo familiare sarebbe dovuta essere ridotta al minimo indispensabile, con quindi una spesa costruttiva contenuta, ma con spazi comuni dove la collettività si integrava; di Salvo realizzò il progettò ispirandosi ai vicoli del centro storico di Napoli che, nelle sue intenzioni, sarebbero dovuti essere ricreati in un condominio.
Ispirandosi ai princìpi delle unités d’habitation di Le Corbusier, alle strutture «a cavalletto» proposte da Kenzo Tange e più in generale ai modelli macrostrutturali,[6] Di Salvo articolò l'impianto del rione su due tipi edilizi: a «torre» e a «tenda». Quest'ultimo tipo, che imprime l'immagine predominante del complesso delle Vele, è contraddistinto dall'accostamento in sezione di due corpi di fabbrica lamellari inclinati, separati da un grande vuoto centrale e attraversato da lunghi ballatoi sospesi a un'altezza intermedia rispetto alle quote degli alloggi. Nel progetto erano inoltre previsti centri aggregativi e spazi comuni, uno spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive. La mancata realizzazione di questo «nucleo di socializzazione» è stata certamente una concausa del suo clamoroso fallimento.Il progetto è analogo - ma solo nella forma a piani digradanti - a quello degli edifici progettati nel 1960 da André Minangoy per la Baie des Anges di Villeneuve-Loubet, nel sud della Francia, che hanno avuto ben altro sviluppo e riscosso un notevole successo. Altre edifici simili sono presenti nel villaggio olimpico di Montreal.
L'area in cui le Vele sorsero ricadeva in due lotti contigui, separati da uno dei rami del reticolo viario (l'intero territorio di Scampia fu diviso in vari lotti da edificare). Nel lotto M furono costruite quattro Vele, indicate alfabeticamente con le lettere A, B, C, D. Nel lotto L furono costruite le restanti tre, indicate dalle lettere F, G e H. Accanto alla classificazione alfabetica se ne aggiunse, alle vele rimaste in piedi dopo il 2003, una cromatica cosicché ogni Vela venne denominata da parte della popolazione del quartiere attraverso un colore: vela rossa, vela celeste, vela gialla, vela verde.
Le vele di Scampia versano in un grave stato di degrado. L'idea del progetto prevedeva grandi unità abitative dove centinaia di famiglie avrebbero dovuto integrarsi e creare una comunità, grandi vie di scorrimento e aree verdi tra le varie vele; una vera e propria città modello, ma varie cause hanno portato a quello che venne poi definito un ghetto, in primis il terremoto dell'Irpinia del 1980, che portò molte famiglie, rimaste senzatetto, ad occupare anche abusivamente gli alloggi delle vele. A questo intreccio di eventi negativi si è associata la mancanza totale di presidi dello Stato: il primo commissariato di Polizia fu insediato solo nel 1987, a quindici anni dalla consegna degli alloggi. La situazione ha allontanato sempre di più una parte della popolazione, lasciando il campo libero alla delinquenza. I giardini sono divenuti luogo di raccolta degli spacciatori, i viali sono piste per corse clandestine, gli androni dei palazzi luogo di incontro di ladri e ricettatori