TEATRO SOCIALE DI BUSTO ARSIZIO

BUSTO ARSIZIO, VARESE

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TEATRO SOCIALE DI BUSTO ARSIZIO
Dal mal di denti della primadonna al mal di gola del tenore, dallo sciopero degli aerei a quello degli orchestrali, dalla corrente a singhiozzo a cataclismi naturali di ogni sorta: è lungo lelenco delle disgrazie, più o meno tragiche, che dal 1862 (data del suo debutto) accompagnano «La forza del destino» di Giuseppe Verdi. «Sfortuna, sempre sfortuna, fortissimamente sfortuna»: è la battuta maligna che circola, sia pur a mezza voce, negli ambienti della musica lirica. Eppure i bustocchi, più pragmatici che superstiziosi, scelsero questo melodramma, il cui libretto fu scritto da Francesco Maria Piave partendo dalla storia del «Don Alvàro o la Fuerza del Sino» di Ángel de Saavedra, per inaugurare il loro nuovo «salotto buono»: il teatro Sociale. Era domenica 27 settembre 1891. Sul palco salirono la soprano Bianca Montesini, il baritono Sante Athos, il basso Antonio Nicolini e il mezzosoprano Elvira Ercoli, sotto la direzione del maestro Giulio Buzenac. Tra la platea e i palchetti, ormai retaggio di un antico passato, si diffusero le note dellaccattivante ouvertüre, della romanza «Urna fatal del mio destino» e della melodia «Pace, pace, mio Dio». A fare gli onori di casa, al termine della rappresentazione, fu lingegner Giuseppe Introini, primo presidente della «Società anonima del teatro Sociale». Prendeva così forma il «sogno» del cavalier Giovanni Candiani, lideatore della nota «tela Olona», morto il 3 maggio 1888, prima di poter portare a termine, insieme con alcuni amici come Giovanni Crespi Zoppin e Stefano Pozzi, il progetto di fondare «unopera che elevasse lo spirito e la cultura della sua Città». Poco più di tre anni dopo, il «sogno» di questo ricco imprenditore, i cui tessuti prodotti negli opifici di Busto Arsizio e di Marnate venivano esportati anche in Medio Oriente, diventava realtà grazie alla figlia, la contessa Carolina Candiani in Durini, e al genero, il conte Giulio Durini, ma anche a una ventina di lungimiranti possidenti, commercianti e industriali della città, che, in data giovedì 21 agosto 1890, si riunirono, alla presenza del notaio Carlo Prina, per firmare latto costitutivo della «Società anonima per azioni per la costruzione, allestimento ed esercizio di un teatro sociale in Busto Arsizio». Candiani, Crespi, Gambero, Introini, Marinoni, Milani, Pozzi, Provasoli e Tosi sono i cognomi che appaiono vergati su questo documento. Il progetto della sala, edificata nellallora piazza Nuova (lattuale piazza Plebiscito), sui terreni detti «La Mella» e a poca distanza dallappena inaugurata stazione ferroviaria della linea Novara-Seregno, fu affidato allarchitetto e ingegnere milanese Achille Sfondrini, già autore del «Carcano» di Milano (1872), del «Flavio Vespasiano» di Rieti (1883) e del «Costanzi» di Roma (1880). La tipologia edilizio-architettonica del teatro Sociale ricalcava, nel progetto originario, il modello scaligero, ideato dallarchitetto neoclassico Giuseppe Piermarini sullo schema delle costruzioni teatrali dellantica Grecia e dellItalia rinascimentale. Lo storico edificio bustese era, infatti, composto internamente da un avancorpo a servizi con atrio, ridotto, uffici, depositi e salone delle feste, distinto come volume edilizio dalluovo della sala organizzativa, con platea e due ordini di palchetti, e dal corpo scenico, con camerini e vani per le attrezzature. Mentre la struttura esterna presentava una forma semplice a due ordini, di gusto neoclassico, con porte e finestre ad archi a tutto sesto e una cupola a tamburo con aperture circolari. Cinque anni dopo la sua edificazione, il 31 dicembre 1896, lo stabile figurava, insieme con lattuale palazzo comunale, come rappresentativo di Busto Arsizio nel giornale «Le cento città dItalia», supplemento mensile illustrato del «Secolo» di Milano. Attualmente rimane ben poco di questo progetto originario, a causa delle numerose e articolate ristrutturazioni che si sono succedute nel corso del tempo, principalmente tra gli anni Trenta
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