SANTUARIO DELLA MADONNINA DI VEROLENGO

VEROLENGO, TORINO

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SANTUARIO DELLA MADONNINA DI VEROLENGO
Il lungo viale di accesso, recentemente ripristinato ed abbellito, inizia dal paese, segue in parallelo la strada statale in direzione Casale e conduce al piazzale antistante il sacro edificio. Qui, all’interno di due curatissime aiuole, anch’esse da poco restaurate, si snodano le stazioni della Via crucis e i Misteri del S.Rosario, illustrati su tavole bronzee scolpite e sorrette da eleganti supporti di pietre verdi di Courtil.. L’imponenza della chiesa e la maestosa facciata in stile neoclassico invitano ad entrarvi. Non si rimarrà delusi: l’interno, luminossissimo, sorprende per la solennità delle architetture e per la ricchezza delle opere d’arte. Infatti, la grande cupola è istoriata da rosoni dipinti su soffitto cassettonato che, con sapiente gioco di trompe l’oeil, rendono efficacemente l’effetto della tridimensionalità; le quattro statue colossali, rispettivamente, in senso orario, di Mosè, S.Giuseppe, S.Anna e S.Giovanni Battista, sono lavoro della famiglia Augero, originaria di Verolengo, ma conosciuta ed attiva in tutto il Piemonte nell’Ottocento per la sua produzione. Sono opera altresì di Amedeo Augero i grandi affreschi che ornano la chiesa; in particolare, colpiscono per la loro imponenza quelli situati a destra e a sinistra entrando, raffiguranti rispettivamente l’Assunzione di Maria e la Presentazione di Maria al tempio, entrambi databili al 1850 circa. I sei riquadri immediatamente sotto il cornicione della cupola maggiore, che rappresentano momenti della vita della Madonna, furono dipinti invece dal pittore Mentasti. Al centro dell’altar maggiore, al di sopra del tabernacolo, si erge un piccolo affresco, raffigurante la Madonna con il Bambino, molto probabilmente la beata Vergine di Oropa, a causa del suo colorito scuro, con a sinistra S.Carlo Borromeo e a destra S.Antonio da Padova. Di autore ignoto, esso già esisteva alla fine del Seicento: a quell’epoca, il dipinto costituiva la parte superiore di uno dei tanti piloni che, ancor oggi, si trovano nelle nostre campagne. Il simulacro è all’origine sia del santuario, sia della sua fama taumaturgica. La tradizione narra infatti che un sacerdote, un certo don Bracco, fu sbalzato di sella dal cavallo imbizzarrito e, con un piede impigliato in una staffa, fu trascinato per un lungo tratto, finchè, proprio dinanzi al pilone, l’animale si bloccò e il prete, rimasto miracolosamente incolume malgrado la brutta avventura, ringraziò la Vergine per lo scampato pericolo; in segno di riconoscenza fece includere il segnacolo all’interno di una cappella. Essa però divenne ben presto insufficiente per il gran concorso di fedeli e devoti e pertanto venne demolita ed ampliata. La necessità di un edificio ancor più capiente si fece pressante alla fine del Settecento, ma i lavori, sebbene iniziati, non procedettero per molti motivi e ripresero soltanto alcuni decenni dopo, a partire dal 1834; proseguirono, con interruzioni, fino al 1851, quando la chiesa fu consacrata.
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