Il Palazzo Vescovile di Colle di Val d'Elsa custodisce all'interno della cosiddetta 'Sala di Sant'Alberto' una testimonianza eccezionale e alquanto rara di un ciclo trecentesco quasi interamente conservato.
L'insolito programma iconografico contribuisce ad accrescere la straordinarietà di tali affreschi: immagini sacre più tradizionali, quali un San Cristoforo e un San Giorgio, si affiancano a immagini profane, ora di carattere cortese - l'episodio leggendario di Aristotele e Fillide e una scena di caccia - ora legate al rarissimo tema delle crociate (Saladino a capo di un gruppo di cavalieri e una teoria di guerrieri cristiani).
L'illusionistica balza marmorea alla base delle scene principali è abitata da animali fantastici, suonatori, giocolieri e danzatori che sottolineano il carattere secolare della Sala di Sant'Alberto.
Il Palazzo Vescovile nacque dall'aggregazione di immobili preesistenti. Detto stabile è stato classificato come una 'casa torre'. Il ciclo di affreschi si configurerebbe come una decorazione di una casa privata trecentesca volta all'autocelebrazione dello status sociale dei proprietari, probabilmente attraverso la rappresentazione dell'ideale percorso di formazione del giovane cavaliere cristiano.
Il panorama artistico di riferimento sembra essere quello senese della seconda metà del Trecento, in parallelo con l'attività di artisti quali Luca di Tommè, Jacopo di Mino del Pellicciaio, Niccolò di Ser Sozzo o Bartolo di Fredi. Proprio a quest'ultimo sono stati attribuiti gli affreschi della Sala di Sant'Alberto, il cui autore risulta tuttavia di qualità superiore a quello dell'Antico Testamento della Collegiata di San Gimignano, Bartolo di Fredi appunto. L'identità del pittore di Colle di Val d'Elsa potrebbe essere quella dell'anonimo 'Maestro della Pietà' (attivo tra il 1350 e 1375), un artista con un corpus di opere piuttosto esiguo, ma significativo; alcuni critici hanno ipotizzato una sua formazione presso la bottega di Simone Martini e che a partire dalla fine degli anni Sessanta del Trecento si sarebbe più avvicinato all'esempio di Luca di Tommè.