Capo Vaticano è un'estesa località promontuosa, balneare e pianeggiante della frazione di San Nicolò, nel comune di Ricadi (VV), situato tra Pizzo Calabro e Nicotera, lungo la "Costa degli Dei" noto tratto di costa del Tirreno meridionale. Questa è una terra abitata da sempre, fin dai tempi dei Bretti, dei Greci e dei Romani. Anticamente il Capo era un promontorio sacro conosciuto in tutta la Magna Grecia, poiché qui sacerdoti ed indovini scrutavano il futuro. Vicino era il mitico porto Ercole, probabilmente situato nella vallata del torrente Ruffa. Porto Ercole viene citato anche dagli storici Strabone e Plinio il Vecchio.
Fenici, Cartaginesi e Greci mercanteggiavano i loro prodotti con le popolazioni locali sulle spiagge di Santa Maria, Torre Ruffa e Grotticelle. Gli antichi conobbero il promontorio di Capo Vaticano e lo segnalarono sulle loro carte col nome di "Taurianum Promontorium", nome che, in epoca romana, fu cambiato in "Promontorio Vaticano". Vaticano deriva da "Vaticinium", termine latino che indica oracolo, responso. La tradizione vuole che, nell'antichità, sul promontorio vi fosse un oracolo cui i naviganti, che discendevano la costa tirrenica, si rivolgevano prima di affrontare i vortici di Scilla e Cariddi. Qui si racconta di un'antica profetessa sibilla che dava responsi e traeva auspici e ancora oggi lo scoglio che sta davanti al capo porta il nome greco di "Mantineo" (raggiungibile a nuoto dalla antistante, selvaggia e meravigliosa Praja 'i focu) a richiamare queste funzioni predittive e lo stesso nome del promontorio "Vaticano" è legato all'esercizio di una attività vaticinante. Forse sotto l'alta roccia passò il profugo Ulisse dopo aver superato Scilla e Cariddi lontano dagli scogli del pericolo e forse anche l'abile navigante ebbe responsi favorevoli alla sua avventurosa sete di conoscere, ma certo era anche nell'antica profezia che questo luogo sarebbe rifiorito e che la terra arida popolata solo da spinosi ficodindia sarebbe rinverdita per diventare un giardino, non più inaccessibile, ma splendido balcone su un mare d'incanto da dove si coglie con un giro di sguardi la linea dei vulcani nell'ampio mare: Stromboli, Vulcano e l'Etna altissimo nella Sicilia vicina, e poi lo stretto di Messina e le luci dei fari nella notte, e l'estremo lembo della Calabria con l'Aspromonte, il monte S. Elia a Palmi, la Piana e qui vicino il monte Poro che scende rapidissimo nel mare sopra Coccorino, mentre degrada dolcemente a lunghe balze da Panaia a Ricadi a S. Nicolò e fin sull'estremità del promontorio. Da qui la visione magica delle isole Eolie è come una collana di perle che dà splendore nuovo a una bellezza antica e quindi autentica. A Capo Vaticano maturò e visse Giuseppe Berto, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore italiano (Mogliano Veneto, 27 dicembre 1914 – Roma, 1º novembre 1978). Capitò in questo posto per caso, come egli stesso diceva “quando ancora i contadini portavano le mucche e i maiali a fare il bagno. Per loro quel mare, ora tanto decantato, quelle spiagge, quei declivi pieni di ginestre e fichi d’India, quelle fantastiche rocce, significava solo fatica, fame”. Al di là quell’orizzonte ricamato dalle isole Elie: Stromboli, Vulcano, Panarea, Alicudi, Filicudi, c’era soltanto un sogno: il “cammino della speranza”. Per Giuseppe Berto, invece, perseguitato dalla nevrosi, Capo Vaticano fu l’approdo. E qui, proprio a Capo Vaticano, scrisse "Il male oscuro", romanzo che uscito nel 1964, in precedenza rifiutato da più di un editore, si aggiudicò in una sola settimana i due premi letterari Viareggio e Campiello. Diciamo che Capo Vaticano fu fonte di ispirazione per la bellezza del luogo e fonte di guarigione generato dalla potenza del suo magnetismo naturale dirompente. Pochi giorni prima di morire, Berto ritornò a Capo Vaticano, salutò gli amici, si fermò davanti ai luoghi tanto amati. E' seppellito nel cimitero di S. Nicolò di Ricadi, in mezzo alla gente comune.