PIEVE DI SANTA MARIA IN LEMORIS

GAVI, ALESSANDRIA

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PIEVE DI SANTA MARIA IN LEMORIS
Da Gavi si percorre la provinciale 177 che, superato il ponte alla confluenza del neirone nel Lemme, prosegue verso San Cristoforo lungo l’antica strada di Vallegge. Il rustico conserva nella denominazione la traccia toponomastica dell’antica istituzione, la cui millenaria struttura è ancora ben salda, anche se abbandonata al più totale degrado, al culmine del terrazzo roccioso che incombe sull’ansa del torrente. Ricordata come plebs Lemoris nel XII e nel XIII secolo, la chiesa è forse succeduta a una precedente istituzione, come sembrano confermare le pietre scolpite testimoniate da un disegno di Santo Varni del 1875, e il frammento di treccia viminea reimpiegato in una lesena dell’abside, che indicano cronologie indiziariamente riferibili al X secolo. La pieve figura nella rationes decimarum della diocesi di Genova del 1387. Nel 1582 le funzioni liturgiche dell’istituzione risultano trasferite alla parrocchia di San Giacomo di Gavi, e l’antica chiesa appare in condizioni assai precarie. Nei secoli successivi, il crollo della navata sinistra, la trasformazione in casa d’abitazione della navata destra, la destinazione agricola del corpo principale, segneranno il progressivo impoverimento della struttura, decaduta da centro di culto a edificio rurale. Nell’architettura della pieve si riconoscono caratteri costruttivi e stilistici che in maggiore o minore misura richiamano aspetti comuni alle chiese medievali dell’area lombarda. La muratura è prevalentemente in ciottoli di fiume inframmezzati da embrici d’argilla. Il prospetto evidenzia una struttura basilicale con il modulo centrale sopraelevato sulle navate laterali. L’abside ribassata presenta una decorazione ad archetti binati spartiti da sottili lesene, che si sviluppano dal coronamento del tetto. Lo stesso motivo si ripete sul frontale, secondo un disegno asimmetrico caratteristico del periodo più arcaico dell’architettura medievale. Salvo che nell’ampio comparto centrale, contenente cinque archetti, ogni spazio compreso tra le lesene racchiude due archetti. La facciata conserva, oltre il partito centrale abbastanza integro, parte di quello della navata laterale destra, e, ben visibile sull’altro lato, l’attacco della muratura frontale della navata sinistra. nel 1875 risultavano ancora parzialmente leggibili sul prospetto esterno due affreschi: i resti di una pittura murale che raffigurava la Madonna con il Bambino a sinistra della porta, e un imponente San Cristoforo a destra, ‹‹opere non tanto di antica data - annota Santo Varni - quanto di poco valente autore››. nell’interno sono visibili le capriate lignee della copertura e le arcate, ora murate, che comunicavano con le navate laterali. La chiesa era ornata da decorazioni pittoriche. Ancora Santo Varni rilevò nel 1875 un’immagine della Madonna in trono e i resti di figure affioranti sul muro dell’abside, dove attualmente residuano poche tracce leggibili: un’immagine di San Pietro, sufficientemente conservata, che regge con la destra le chiavi del regno e con la sinistra il libro, in tunica bigia e mantello giallo che si arrossa nelle ombre; e un altro personaggio di cui resta il viso e la parte superiore della spada accanto alla testa. Quanto basta per riconoscervi San Paolo. Le due pitture presentano caratteri culturali e stilistici non omogenei: la figura di San Paolo sembra ispirarsi a moduli meno arcaici di quella di San Pietro, che, malgrado dichiari ancora la sua osservanza alle formule della tarda maniera bizantina, è riferibile a un periodo non anteriore alla fine del XIV secolo. L’edificio venne parzialmente restaurato tra il 1978 e il 1979, con rifacimento dell’orditura lignea del tetto e copertura in coppi; fissazione dell’apparato pittorico; ricostruzione del semicatino crollato dell’abside.Fonte: Guida dell'Accademia Urbense a cura di Roberto Benso
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