La città di Tharros, ubicata all’estremità meridionale della Penisola del Sinis, venne fondata alla fine dell’VIII sec. a.C. o nel VII da genti fenicie in un’area già frequentata in età nuragica. Su una delle tre colline su cui sorge la città, la più settentrionale, nota con il nome di Su Murru Mannu (in sardo “grande muso”), è visibile ancora oggi un importante villaggio protostorico (età del Bronzo medio-recente) che doveva essere già abbandonato al momento dell’arrivo dei Fenici (n. 7). I resti di un monumento nuragico sono stati riconosciuti alla base della torre spagnola del colle di S. Giovanni (n. 20); altri due nuraghi si trovano sul Capo S. Marco, uno, detto Baboe Cabitza, nella parte più alta del promontorio, l’altro presso l’insenatura di Sa Naedda. L’arrivo dei Fenici e la fondazione della città coincidono con un momento di straordinaria attività coloniale da parte dalle genti levantine in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. Non conosciamo tuttavia l’esatta ubicazione dell’abitato fenicio, che certo non doveva avere carattere di monumentalità, mentre abbiamo alcune testimonianze di ambito funerario e votivo. Fin da questo periodo sono in uso contemporaneamente due necropoli, ubicate a una distanza di qualche chilometro l’una dall’altra: quella più nota è posta sul Capo S. Marco (n. 23), l’altra, mai indagata in maniera sistematica, si trova oggi all’interno del villaggio moderno di S. Giovanni di Sinis (n. 1). Ci si pone ancora il problema della ragione di tale duplicità, non escludendosi la possibilità dell’esistenza di due centri abitati posti a distanza ravvicinata. Le sepolture, databili a partire dall’ultimo quarto del VII sec. a.C., sono nella maggior parte dei casi semplici fosse scavate nella sabbia o nella roccia affiorante in cui sono deposti i resti incinerati dei defunti, accompagnati dai corredi ceramici e da oggetti personali. Quanto all’ambito del sacro, si possono ricordare i materiali più antichi rinvenuti nel tofet (n. 6), il tipico santuario fenicio-punico a cielo aperto, circondato da un recinto sacro e contenente le urne, con i resti incinerati dei bambini morti in tenerissima età e degli animali sacrificati, e le stele, veri e propri signacoli in pietra con il simbolo o l’immagine della divinità posta su un trono o all’interno di un tempietto in miniatura. Ancora si discute sulla natura del santuario tofet, se luogo di sacrificio dei fanciulli in offerta alla divinità o, più probabilmente, necropoli destinata ai bambini nati morti o a quelli deceduti prematuramente prima di aver subito un rito di passaggio e dunque di essere stati accolti nella comunità degli adulti. (Tharros.Sardegna.it)
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