E' un palazzo di Napoli con pavimentazione in selce vesuviana fatto lastricare a questa maniera da Camillo figlio di Ferdinando Sanfelice, che alla morte di quest'ultimo l'ebbe ereditato.
Fu comandato al vasolaro Pasquale Ferraro di pavimentare la corte. Il palazzo è visto nella pianta Lafrery del 1566 sulla strada per il Rione Sanità senza alcuna interruzione, diversamente dalla pianta Baratta del 1629 che invece individua il caseggiato all'angolo coi gradini Sannicandro accosto quattro passi al palazzo De Liguoro.
Il prospetto, con portale cuspidato in bugne distanziate agli angoli verso l'interno, unitario sulla strada, si presenta armonioso, con due distinti accessi e due diversi edifici con due identici portali separati come riportato sul censimento del catasto francese, l'uno appartenente a Francesco Capecelatro marchese di Lucito e l'altro ai marchesi di Vigo.
Sui due portali dei due edifici, il maestro Ferdinando Sanfelice, architetto di stimata qualità, finto autore del palazzo dello Spagnuolo Atienza, probabilmente anche del palazzo Pignatelli Monteleone, fece apporre due cartigli coi quali avvisava i Domenicani dell'antica chiesa del Monacone di essersi insediato come un patrizio napoletano.
Entrambe le facciate dei palazzi, De Liguoro e Sanfelice sono posti sulla dirittura d'arrivo dal vico Lammatari.
La costruzione è iniziata tra il 1713 e l'anno dopo, poi protratta per altri quattordici anni e terminata all'avvento dal maestro stuccatore Domenico Gadaleta che in quel secolo realizzò le due sirene3 al di sopra dei due portali, che mostrano le epigrafe marmoree di Matteo Egizio. Quest'ultimo, poi, fu autore, tra l'altro, delle epigrafi imposte sulla statua equestre eretta in piazza del Gesù Nuovo al ”glorioso Monarca Filippo V” buttata giù durante le sommosse di popolo nell'epopea della Repubblica Partenopea, ed oggi sostituita dall'imponente Guglia dell'Immacolata4. Giunto sui censi di suolo a costruire il palazzo corrispondente ad un cortile con scala a doppio cerchio e causa la salubrità dei posti intese ivi stabilire residenza privata. Gli angoli di quel settecentesco cortile son ancor oggi smussati e bellissimi, destinati fin dalla sua origine a sfidare la ristrettezza dello spazio offerto; il progettista Sanfelice, maestro nelle difficoltà specie sui salti di quota, s'è dilettato con piacere a disegnare una corte in un lotto piccolo e ha puntato, lo si vede, ad una serie di soluzioni che ne riscattassero l'angustia degli spazi, rivedendola nei punti assi difficili. In verità il secondo edificio come recita la relativa epigrafe dal Sanfelice fu solo restaurato; l'invaso rettangolare del cortile con le due ali laterali doveva già esistere e l'architetto dovette ampliarlo ed allargarlo fino a giungere al giardino, abbellendolo con la sontuosa scala, composta di ascendenti e discendenti arcigni ed aggressivi. Immaginata come un passaggio tra due fondamentali elementi dell' archiettura nonché del paesaggio urbano di quegli anni a Napoli e quindi un poco palazzo e un poco villa. La scala e non piuttosto il palazzo è un capolavoro dell' architettura spaziale napoletana: è, per natura formale, indifferente al completamento unitario dell'edifico per intero; miniaturizza dentro una costruzione il senso spaziale delle arcate di un acquedotto romano. Per il frequentissimo dilavamento delle acque su questi territori sotto quota, il Tribunale della Fortificazione Mattonata e Acqua, nel 1742 paga Giovanni De Luca per l'appianamento dei fossati.