L’Oratorio di San Rocco sul percorso dell’antico acquedotto di Genova fu realizzato al termine di un’aspra diatriba che vide di fronte gli abitanti di Struppa e la Repubblica di Genova per la realizzazione del tracciato del nuovo acquedotto seicentesco: per i lavori, conclusi nel 1641, erano stati espropriati numerosi proprietari terrieri, risarciti solo nel 1642. Come atto di pacificazione con la Repubblica fu realizzato l’edificio attuale, a pianta unica e rettangolare, ampliamento di un più piccola ed antica cappella sempre dedicata a San Rocco.
Nello stesso 1642 fu Giannettino Maragliano, in ottemperanza alle ultime volontà del nonno Giovanni Maragliano, proprietario di vasti terreni nella parrocchia di San Cosma a Struppa, a disporre la Fabbrica dell’oratorio.
In un altro documento conservato all’Archivio Arcivescovile di Genova e risalente al 1649 si specifica che la cappella è intitolata, oltre a San Rocco, a San Giovanni Battista e alla Beata Vergine Maria, incoronata Regina di Genova nel 1637.
Pochi anni dopo Giovanni Battista Maragliano richiede alla Curia il permesso di officiare messa e di impartire sacramenti nella cappella, oltre a concedere l’indulgenza plenaria concessa dal Pontefice Alessandro VII per coloro che faranno visita alla cappella nel giorno dedicato a San Rocco (16 agosto).
La struttura e l’area circostante, impreziosita dalla presenza di una dozzina di cipressi secolari, sono di proprietà privata di un fondo immobiliare: il lotto comprende anche l’antico Palazzo di Gio. Battista Invrea, risalente al secolo XVIII, oggetto di una speculazione degli anni Ottanta del Novecento che ha ridotto l’antico palazzo a rudere. L’oratorio è sconsacrato ma ha svolto ancora funzioni di parrocchia nella prima metà del Novecento.
L’oratorio oggi è completamente abbandonato, preda dell’incuria e del vandalismo. Parte della copertura, a botte, è oramai crollata; una frana sul lato sinistro dell’edificio ha fatto crollare un vano laterale della costruzione e ora rischia di trascinare con sé tutto il resto dell’edificio. I muri e l’altare seicentesco presentano segni di vandalismo molto estesi. Risulta ancora leggibile la decorazione a fascioni orizzontali bianco-grigi della facciata principale nella quale spicca, sopra il portone, un rosone (anche questo oramai perduto). Gli affreschi sono ormai perduti mentre rimane leggibile una piccola porzione di sagrato lavorato con la tecnica del risseu.
Lo stato di salute del complesso è quasi oramai totalmente compromesso. In assenza di un intervento nel prossimo futuro la struttura senza dubbio crollerà e andrà completamente perduta.
Scheda a cura di Iolanda Valenti e Fabrizio Spiniello