ONETA E IL MUSEO CASA DI ARLECCHINO

SAN GIOVANNI BIANCO, BERGAMO

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ONETA E IL MUSEO CASA DI ARLECCHINO
Borgo antico appena sopra l'abitato di San Giovanni Bianco dove la tradizione individua la casa natale di Arlecchino. Un pugno di case antiche contribuiscono a dare alla contrada un'atmosfera d'altri tempi che si respira pienamente percorrendo le anguste vie porticate, su cui si affacciano rustici portali in pietra, ballatoi in legno, strette finestre protette da inferriate. Nel borgo si trova il Museo Casa di Arlecchino all’interno di Palazzo Grataroli. Il nome “Casa di Arlecchino”, con cui è comunemente conosciuto il palazzo signorile del borgo, è legato all’attore rinascimentale Alberto Naselli, che rappresentò lo Zanni e Arlecchino nelle principali corti europee e che, secondo la tradizione, soggiornò nel palazzo di Oneta. L’edificio che oggi ospita il museo è di origine medievale e aveva probabilmente una funzione difensiva del borgo, collocato lungo la Via Mercatorum, la via che collegava Bergamo con le comunità dei Grigioni. Divenne dimora signorile tra il Quattrocento e il Seicento, quando fu acquistato e ristrutturato dalla potente casata locale dei Grataroli, che vantava grandi ricchezze acquisite a Venezia, della quale portarono anche il gusto architettonico: il loro palazzo è l’unico esempio di architettura veneta in Valle Brembana. I Grataroli fecero decorare la casa con pregevoli affreschi, visibili ancora oggi entrando nel grande salone: la Camera Picta. Gli affreschi, databili alla seconda metà del XV secolo, testimoniano l’ascesa della famiglia attraverso l’intercessione dei santi guaritori legati alla devozione popolare e attraverso la rappresentazione di un torneo cavalleresco dove i Grataroli, distinguibili per la presenza di una gratarola (una grattugia) disegnata sul loro scudo, sconfiggono i nemici dimostrando il loro potere alle famiglie nobiliari della Valle, raffigurate negli stemmi che contornano la scena. All’ingresso del Palazzo, invece, è visibile un affresco che rappresenta un uomo con un bastone in mano accompagnato dalla scritta: "Chi no è de chortesia, non intragi in casa mia. Se ge venes un poltron, ghe darò del mio baston". Questo dipinto è una rappresentazione dell’Homo Sevadego, figura popolare diffusa nelle comunità retico-alpine e metafora dell’attaccamento dell’uomo alla propria terra e del suo rapporto con i cicli della natura. Oltre al Museo, nel borgo è presente la Chiesetta del Carmine con all'interno opere di Carlo Ceresa e all'esterno affreschi rappresentanti santi.
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