MULINO DI BENTIVOGLIO

BENTIVOGLIO, BOLOGNA

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MULINO DI BENTIVOGLIO
Il termine corretto con cui chiamare il nostro edificio sarebbe “molino”, anche se la parola non è più usata ormai da tempo (dal latino molere, macinare, e mola, grossa e pesante pietra circolare che frantumava i semi di cereale). Esso invece è un insieme di meccanismi che creano una serie consecutiva di movimenti meccanici i quali a loro volta prendono vita dall’energia elettrica, da quella idraulica, eolica, animale o umana. Il mulino di Bentivoglio, la cui tradizione risale al XIV secolo (1° febbraio 1352), fu edificato da Guido Lambertini sulle rive del canale Navile in località Ponte Poledrano (l’attuale Bentivoglio). Ricordiamo che l’arte molitoria era il cardine dell’attività economica della bassa pianura bolognese che, già nella seconda metà del Quattrocento, stava espandendo la coltura del frumento per tentare di far fronte alle frequenti richieste di provviste della città; possedere mulini voleva dire avere cibo e ricchezza, tanto che ai suoi tempi Giovanni II ne possedette ben 16. I fratelli Camillo e Gaetano Pizzardi acquistarono nel 1817, assieme a Benedetto Casazza, dal marchese Carlo Bentivoglio d’Aragona una numerosa schiera di edifici che si trovavano nell’isola formata dai due rami del Navile, le quali davano vita al centro industriale di Bentivoglio: mulini, magazzini e granai, un mondatore dove si trapassavano le granaglie, pille da riso, una macina da olio, una gualchiera, una conceria, una tintoria e un asciugatoio necessari alla lavorazione dei panni e delle pelli. Vi erano anche molte botteghe: un calzolaio, un salumiere, una rivendita di liquori e una di pelli già lavorate. Immancabile la classica osteria. L’elenco comprendeva pure diversi pollai, un porcile, una stalla per bovini e per cavalli, una colombaia. Dopo anni di prosperità ma anche di stagnazione industriale (i macchinari erano arrivati ormai ad essere obsoleti) fu l’ultimo proprietario, il marchese Carlo Alberto, a dar corpo ad un forte programma di modernizzazione e di intenso legame con il territorio, tra cui, negli anni successivi al 1878 uno stabilimento industriale per la filatura della canapa. Nel 1909 si edificò l’Ospedale e una fornace per tegole e mattoni, mentre si demandò la manutenzione e l’installazione di nuove macchine all’interno del mulino alla Ditta Alessandro Calzoni. Successivamente, a seguito di tristi episodi (i moti contadini) il marchese decise di abbandonare i territori da lui tanto amati lasciando la gestione della tenuta, sino al 1918, all’agronomo svizzero Armando De’ Rham, dopodiché Carlo Alberto prese la funesta decisione di vendere tutte le proprietà anche se, nel frattempo e sino al 1919, il Pizzardi continuò, in controtendenza ai suoi pensieri, ad acquistare terre, spesso bonificandole, portando l’estensione complessiva della tenuta Bentivoglio a 1.640 ettari dai quali si coltivava ancora riso, barbabietole, foglie di gelso per l’industria serica, canapa e soprattutto frumento. Grande peso dette pure all’allevamento bovino. Nel 1919, Carlo Alberto devolvette all’Amministrazione degli Ospedali di Bologna i fondi terrieri di San Lazzaro di Savena, Medicina, Sant’Agostino di Ferrara così come il palazzo di via Castiglione, a Bologna, che diventò sede della stessa Amministrazione (lo è ancora oggi). L’anno successivo, esattamente il 19 maggio 1920, la stessa sorte toccò alla grande tenuta di Bentivoglio e al castello. Il 19 settembre 1921, Carlo Alberto fece testamento. L’Amministrazione degli Ospedali gestì il tutto sino al 1925. Nello stesso anno vi fu la visita del re Vittorio Emanuele III che riconobbe la tenuta come modello agricolo da seguire e Carlo Alberto Pizzardi come benefattore. Altri lavori si susseguirono e il nuovo mulino entrò in funzione un anno dopo, nel ’26: l’adeguamento fu seguito nuovamente dalla Ditta Alessandro Calzoni coadiuvata dalla Società Anonima Officine Meccaniche con sede a Reggio Emilia.
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