Cera una volta … il lanificio Borbonico di piazza Enrico de Nicola. Uno degli ultimi esempi di archeologia industriale presente nel cuore del centro storico di Napoli.
Il Lanificio Sava, la fabbrica dei panni del Regno delle Due Sicilie, nasce nel 1824 per volere del cavaliere Raffaele Sava occupando parte del complesso monastico di Santa Caterina a Formello a due passi da Porta Capuana.
Da antico luogo destinato alla preghiera, il fabbricato si trasforma in pochissimo tempo in una grande fabbrica per fornire divise ai corpi dell’esercito del Regno delle Due Sicilie. Le maestranze vengono scelte prima tra i reclusi del Albergo dei Poveri e poi tra i forzati della Marina Militare.
La sua florida attività si arresta con l’Unità Italiana sotto lo stemma Sabaudo. Un evento che decreta la fine dell’azienda, come tante attività industriali nate nell’ex regno Borbonico.
Dopo la chiusura, viene occupato da più attività artigianali che non ne hanno rispetto; una colonna del antico chiostro viene addirittura abbattuta per far spazio alle auto.
Anche se inattiva da più di 150 anni, fuori c’è ancora la grande scritta Lanificio, una delle poche tracce esplicite che testimonia la presenza nell’antico convento di un rimarchevole esempio di archeologia industriale al Sud.
Oggi l’ ex Lanificio Sava si è trasformato in uno spazio aperto alla città grazie alla collaborazione di diverse identità come il Lanificio 25, la Galleria Dino Morra, Made in Cloister.
Anche privati cittadini hanno cominciato a trasformare l’antica struttura organizzando spettacoli, mostre, meeting, concerti, proiezioni e altre attività di interesse culturale e artistico. Nel complesso c’è anche un art shop, una residenza per gli artisti ospiti e uno spazio espositivo,
La fondazione Made in Cloister ha recuperato e restaurato il chiostro cinquecentesco della Chiesa di Santa Caterina a Formiello.
Vi si accede passando per la sagrestia della chiesa, facendo diventare questo luogo uno spazio espositivo per l’arte contemporanea. Al centro del chiostro si erge anche un’imponente struttura in legno, un raro esempio di archeologia industriale borbonica riportato alla luce grazie al lavoro di restauro effettuato.