L’ARCHIVIO STORICO DEL BANCO DI NAPOLI

NAPOLI

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L’ARCHIVIO STORICO DEL BANCO DI NAPOLI
L’Archivio Storico del Banco di Napoli, si trova presso Palazzo Ricca, in via dei Tribunali 213. Palazzo Ricca fu già sede del Monte e Banco dei Poveri dal 1616 e custodisce il patrimonio culturale di 450 anni della storia del Mezzogiorno d’Italia. L’Archivio deve la sua istituzione ad un decreto di Ferdinando I di Borbone, del 29 novembre del 1819, che destinò lo stabile del Banco dei Poveri, soppresso nel 1808, ad Archivio Generale dei documenti degli antichi banchi pubblici napoletani, compresi quelli del loro erede, il Banco delle Due Sicilie. L’Archivio custodisce anche le scritture del Banco delle due Sicilie, sorto nel 1809, in cui confluirono i suddetti banchi pubblici napoletani. Le scritture si possono dividere in due grandi categorie: patrimoniali e apodissarie. Le prime si riferiscono alla vita interna dei banchi, le seconde ai rapporti che essi ebbero con la clientela. Le scritture patrimoniali sono, per la loro tipologia, estremamente varie. Esse riguardano la gestione delle rendite, i rapporti con l’autorità reale o vicereale, l’amministrazione delle elemosine per finalità solidaristiche o la registrazione delle decisioni prese dal consiglio dei governatori del banco. L’unità archivista fondamentale delle scritture apodissarie è la bancale, termine con il quale si indicano tanto la fede di credito quanto la polizza. I clienti dei banchi, depositando denaro presso le casse degli stessi, ricevevano, a richiesta, una fede di credito, un semplice foglio di carta avvalorato da un bollo, che attestava l’avvenuto versamento. Questo foglio poteva essere ‘girato’ a terzi, tramite una semplice disposizione autografa del cliente. Quindi si poteva pagare qualcuno semplicemente ‘girando’ la fede di credito, senza consegnare concretamente il denaro metallico. Nel caso di pagamenti inferiori rispetto all’intero ammontare della cifra attestata sulla fede di credito o al di sotto di una certa somma, il pagamento si effettuava attraverso un altro tipo di documento, steso in carta semplice, la polizza. La pandetta è il primo delle tre unità archivistiche utilizzate degli antichi banchi per tracciare i nominativi e le operazioni dei propri clienti. Si tratta di una grande rubrica in cui venivano annotati i nomi di tutti i clienti ed ad ogni nominativo erano assegnato uno o più numeri. Questi numeri, chiamati numeri di affogliamento, erano un semplice rimando alle pagine del secondo libro, il libro maggiore, dove venivano riportare, nella forma della partita doppia, divise in entrate ed in uscite, le operazioni di ciascun cliente. Ogni volta che qualcuno pagava o incassava denaro attraverso una fede di credito o una polizza, l’operazione veniva scrupolosamente annotata sul suo conto. Su una pagina potevano essere presenti i conti di più persone e, per questo motivo, quando lo spazio terminava il conto del cliente proseguiva alla successiva pagina libera. Per questa pratica ragione i clienti che movimentavano più denaro avevano spesso più numeri di affogliamento. Ma il sistema di registrazione dei movimenti prevedeva un ulteriore e significativo passaggio. Fedi di credito, polizze e tutti gli altri bancali usati per effettuare pagamenti, ad operazione conclusa, venivano minuziosamente ricopiate in registri chiamate giornali copia polizze. Un impiegato, detto giornalista, si occupava di ricostruire così l’attività del banco, giorno per giorno, annotando ogni operazione, ogni cifra e ogni causale passata per l’ufficio detto “ruota”, l’equivalente dell’odierno sportello di banca. Le bancali originali venivano, infine, infilzate con una sottile corda munita di punteruolo metallico e, per risparmiare spazio, appese al soffitto. Questo curioso metodo di conservazione creava, nei locali degli antichi archivi dei banchi, una fitta giunga di liane di carta, le filze, penzolanti dal soffitto.
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