Nella splendida cronice dei Campi Flegrei, precisamente all’interno del complesso archeologico delle terme di Agnano, è ubicata una cavità artificiale ipogea d’età preromana, risalente al III – II secolo a.C. dal nome singolare: la Grotta del Cane.
La cavità, ampia trentadue metri quadrati e raggiungibile solo attraverso un breve corridoio lungo circa una decina di metri, è diventata celebre perché ha una peculiarità che la distingue dalle altre e che la rende unica nel suo genere.
Stiamo parlando del fenomeno della mofeta, ovvero emissioni che fuoriescono dal sottosuolo a base di anidride carbonica, che si sprigionano all’interno della grotta, rendendo, di conseguenza, l’aria tossica ed irrespirabile.
La Grotta è denominata “del cane” perché i vapori nocivi di cui stiamo parlando sono avvertibili entro il metro d’altezza, quindi non risultano dannosi per l’uomo che, posto ad un’altezza maggiore, riesce con facilità a respirare aria fresca, a differenza di un cane o di qualsiasi animale di piccola taglia.
Nei secoli precedenti, al prezzo di qualche spicciolo era possibile assistere al terribile spettacolo che aveva per protagonista un cane, il quale veniva introdotto nella cavità ed obbligato a respirare le sostanze malsane presenti. Nel giro di pochi secondi il povero animale sveniva e per scongiurargli la morte veniva riportato all’aria aperta ed immerso nel lago adiacente, il Lago d’Agnano, formatosi in età pre-medievale e presente fino al 1870.
Come è possibile intuire questa spregevole pratica ha provocato la morte di numerosi cani ed ha gravemente danneggiato la salute di quelli “resuscitati”, i quali erano sottoposti di continuo all’esperimento.
Una caratteristica interessante del luogo riguarda la sua temperatura interna che si aggira intorno ai 60° gradi e che ha fatto supporre agli studiosi che in tempi passati la grotta venisse utilizzata come bagno termale. A confermare ulteriormente quest’ipotesi è la presenza di un cordolo perimetrale, utilizzato probabilmente come seduta e un lucernaio naturale sul soffitto, oggi ostruito.
La grotta era nota, sin dall’antichità, anche da Plinio il Vecchio che l’aveva definita come Mortiferum Spiritum exalans, ovvero una cavità che “esala un soffio di morte”, alludendo proprio a ai vapori mefitici.
Con il passare dei secoli, il luogo divenne oggetto di visita da parte di numerosi esperti del settore come Simone Stratico, professore universitario di Matematica e Fisica Sperimentale all’Ateneo di Padova, che, nel settecento, ipotizzò, a seguito d’un esperimento, la presenza di una miniera di ferro nei paraggi della grotta.
Nell’ottocento, invece, il fisico Pasquale Panvini provò personalmente gli effetti che l’aria avrebbe avuto su un animale di piccole dimensioni. Si accovacciò al suolo, abbassò la testa e ne respirò l’aria per qualche secondo. La reazione negativa fu immediata: pruriti, formicolii e un senso di spossatezza che lo costrinsero a terminare il suo esperimento e che confermarono la validità dell’ipotesi iniziale.
Non fu tappa obbligata solo dei maggiori studiosi del tempo ma anche degli artisti romantici alla ricerca delle bellezze artistiche, geologiche e naturali italiane. Fra questi ricordiamo Goethe che la menzionò nel suo saggio “Viaggio in Italia” (1816 – 1817) e Alexandre Dumas padre, che ne parlò ampiamente nell’opera divisa in quattro volumi “Il Corricolo” (1841 – 1843).