E’ il ponte della Maddalena, conosciuto in epoca normanna, come il pons padulis1ter, installato nella zona orientale di Napoli2,
E' praticamente indistinguibile tra i dossi stradali, e soprattutto non più segnato dall’ampia porzione di fabbrica dei Granili presso il Borgo Loreto, orami andati distrutti per sempre dai bombardamenti del 1943.
E’ considerata opera inutile e di poca importanza artistica ed arecheologica4, anche se, dopotutto, fu tale la sua importanza nel corso dei secoli, che, Federico Pesche, nel dedicare una carta topografica del Regno, al capitano generale vicerè don Gaspar di Aro, marhcese del Carpio, ne annota la presenza sulla sua mappa assieme alla chiesa di Santa Maria del Pianto.
Comunque, sulla mappa di Federico Pesche si osserva anche uno scorcio del golfo di Napoli, la chiesa di Santa Caterina a Formiello presso il Borgo Sant’Antonio Abate ed il profilo del ponte della Maddalena è accennato anche in uno dei due dipinti di Antonio Jolli, Partenza di Carlo di Borbone “vista da terra”, collocato presso la Quadreria di palazzo della Prefettura a piazza Plebiscito.
Fu costruito nel 1555 da Don Bernardino di Mendoza, più o meno collocato a ridosso del Castrum Sancti Erasmi, Borgo Sant’Erasmo o Borgo Loreto a Mare.
Il ponte medesimo si trova al di là di quel che un tempo fu la foce del corso d’acqua pluviale, detto, il Sebeto, all’epoca chiamato anche il Rubeolo, più o meno corrispondente alla porzione occidentale del quartiere di San Giovanni a Teduccio, che resta collegato a via Amerigo Vespucci, il primo tratto della direttrice di penetrazione costiera alla città. Una gabella esatta sul finir del Cinquecento, dello stesso valore di quelle imposte per il Ponte di Casanova ed il Borgo dei Vergini, rese ufficiale il Ponte della Maddalena come ingresso alla città sul lato della costa. Tra l’altro poi, il fatto che il ponte lo si intravede nella carta del Lafrery e la sua permanenza nel tempo stabilisce il fattore unico ed in condizionabile dell’espansione della città oltre la zona delle paludi napoletane. Già dai primi cinquant’anni dell’Ottocento, la primitiva consistenza edilizia nello scenario urbano testimoniato dalle anzidette carte topografiche, non verrà cancellata se non invece mutata il suo significato oltretutto funzionale alla moderna accezione di questa come zona di periferia della città. Fin dalla sua costruzione si presentò magnifico e grandioso, con ampie arcate e fortissima pendenza delle rampe e nell’incisione di Alessandro Baratta, il ponte fa la sua comparsa accanto ad un ampio edificio prospiciente il mare, poi, meglio riconosciuto come il palazzo della Cavallerizza de Re, completando la veduta in un rapporto dialettico col territorio, costituendosi sempre più uno dei principali ingressi alla città e, inversamente la principale occasione di spinta dell’organismo urbano verso il territorio vesuviano del Miglio d’Oro. Giusto per la funzione storica che assolve, il Ponte fu risparmiato dagli interessi che il Comune mosse nel buttarlo giù durante la fase di bonifica della impraticabile strada di via Marinella. In sostituzione venne deciso di abbassarne l’altezza di due metri e sotto di esso se ne recuperò spazio per l’installazione del tronco ferroviario di collegamento della zona ferroviaria con la Stazione ferroviaria Centrale.