L'ex ospedale psichiatrico "San Martino", inaugurato nel 1882 e chiuso definitivamente nel 1999, sorge sulla cima della collina omonima a due passi dal centro di Como.
A causa del sovraffollamento del manicomio milanese della Senavra, dove erano ricoverati i cittadini di Como affetti da patologie psichiche, nel 1857 la Luogotenenza della Lombardia impose alla Congregazione comense di progettare una nuova struttura psichiatrica provinciale.
Nel 1863 venne elaborato un Programma per l'erezione di un Manicomio nella Provincia di Como, a cui fece seguito, il 15 luglio 1871, un bando di concorso che però non ebbe esito. Dopo vari altri studi e piani di lavoro, nel giugno 1878 il Consiglio provinciale deliberò l'edificazione del manicomio, su progetto degli ingegneri Pietro Luzzani e Giuseppe Casartelli. Si decise di costruirlo sulla collina di San Martino, isolata rispetto alla città ma allo stesso tempo vicino al centro e alle principali vie di comunicazione. Inaugurato il 28 giugno 1882, il manicomio provinciale era concepito, sul modello di quello di Imola, a padiglioni ravvicinati separati da ampi cortili.
Con una capacità di circa cinquecento posti, accoglieva anche malati di mente provenienti da Varese, Bergamo, Sondrio e dal Canton Ticino. Nel grande parco ospedaliero erano presenti aziende agricole e manifatturiere che nel corso della loro attività produssero scarpe, stoffe, latte, formaggi e ortaggi destinati al consumo interno e alla vendita in città. Tra il 1906 e il 1913 l'istituto, ritenuto antiquato rispetto alle nuove concezioni della scienza psichiatrica, venne ristrutturato sul modello del manicomio-villaggio.
Seguendo le indicazioni del direttore Francesco Del Greco e di Edoardo Gonzales, responsabile del Manicomio milanese di Mombello, furono realizzati tre padiglioni per cronici (1910), due nuovi padiglioni d'osservazione per uomini e donne (1910-1912), un padiglione d'isolamento per le malattie contagiose (1914) e il reparto destinato ai bambini.
Durante la prima guerra mondiale l'asilo svolse la funzione di Ospedale militare di riserva per la specialità neuropsichiatrica, con il ricovero di oltre seicento militari, ed ebbe un ruolo negli scambi di prigionieri con la vicina e neutrale Svizzera. In quel periodo il numero dei degenti presenti nella struttura arrivò a mille.
Nel 1947, per far fronte alla carenza di spazi nelle vecchie strutture manicomiali e all'aumento dei ricoveri, l'amministrazione provinciale aprì un reparto neurologico femminile. Nel 1976, allo scopo di integrare l'attività ospedaliera con quella extraospedaliera, si attuò la settorializzazione dell'ospedale psichiatrico sul modello francese, che prevedeva la continuità terapeutica tra l'interno e l'esterno del manicomio, e la formazione di équipe pluriprofessionali. Nel 1977 sorsero tre "comunità aperte" in altrettanti padiglioni esterni al corpo manicomiale, destinate ad accogliere pazienti per cui il reinserimento sociale appariva impossibile o quantomeno difficile. In quegli anni i ricoverati arrivarono a quasi duemila.
Con la legge 180 del 1978, che stabiliva la chiusura degli ospedali psichiatrici, e con la riforma delle Unità sanitarie locali stabilita dalla legge 833/1978 che istituì il Servizio sanitario nazionale, i servizi psichiatrici passarono tra le competenze regionali. Il complesso psichiatrico di Como venne definitivamente chiuso nel 1999.