L'eremo semirupestre di Santa Maria Pietraspaccata è incastonato all'interno di un castagneto secolare, il “Bosco della Salandra”, nella fittissima selva ricca di flora e fauna si nascondono tesori straordinari: il “Ciaurriello“, un mausoleo romano ancora oggi conservato, la “Grotta del Brigante“, ed innumerevoli altri reperti archeologici ancora da scoprire. L’eremo è sito in Marano di Napoli e costituisce un unicum archeologico-architettonico in Campania, è parzialmente scavato nel fianco di un profondo solco idrografico che dalla collina di Camaldoli sbocca nel fondo del cratere di Quarto, con salti di oltre cento metri. Le sue grotte si sviluppano su più livelli e probabilmente rappresentando un primitivo insediamento rupestre risalente al neolitico. Costituiva una tappa d'obbligo per i pastori durante la transumanza, infatti, si affaccia su un antico tratturo osco-sannita (anch'esso tagliato nel banco tufaceo) che collegava la più alta collina napoletana con l'agro flegreo-campano. In epoca romana, le grotte furono inglobate in una sovrastante villa, con probabile funzione di mitreo e ninfeo. Il costone tufaceo interessato è ingegnosamente scolpito in modo da intercettare, con studiate canaline e piani inclinati sia l'acqua piovana che quella sorgiva da irreggimentare in due capaci cisterne. Altri canali accompagnavano l'acqua in eccesso fino al fondo del canalone, dove scorre un suggestivo ruscelletto che si trasforma in un impetuoso torrente durante le piogge. Il romitorio-torre fu aggiunto alla fine del '500 in modo da inglobare le citate grotte. La struttura è attraversata verticalmente da una frattura di faglia dalla quale non si esclude che fuoriuscissero vapori termali, in epoca remota. Scoperta nel 1992 da un gruppo di volontari organizzato dal prof. Carlo Palermo, che poi costituì l'Archeoclub Maraheis, fu da costoro riportata in luce rimuovendo a mano centinaia di metri cubi di materiale franato dalla sovrastante rupe. Il lavoro durato diversi anni ha permesso di mettere in evidenza la forte valenza archeologica del sito e di recuperare numerosi reperti del neolitico, del I-II sec. d. C. ed altri del periodo medievale. La maggior parte di questi si trova all'Archeologico di Napoli. Nell'alto medioevo fu forse utilizzato dai monaci Basiliani, come lascerebbe desumere l'antichissimo titolo di SS. Salvatoriello, dato alla grotta principale, trasformata poi in minuscola Cappella. Il luogo da primitivo cenobio si evolve poi strutturalmente, divenendo un vero e proprio santuario a cui accorre gente da ogni parte del circondario. Si susseguono nel tempo diversi eremiti, poi i frati francescani (nell'abside è affrescata la madonna con bambino e due frati adoranti dal forte richiamo giottesco), poi i gesuiti ed ancora altri eremiti, fino al 1800. Dopo tale data cade in uno stato di abbandono e di degrado pressoché totale. Nel mirino della speculazione edilizia, il complesso monumentale subisce attacchi di ogni tipo: le continue frane dal sovrastante costone, i danneggiamenti alla struttura portante con asportazione di blocchi e sversamento di rifiuti di ogni tipo mirano soprattutto a scoraggiare ogni attività culturale in situ e soprattutto la visita sia dei fedeli locali che di studiosi. L'iniziativa meritoria del FAI accende nuove speranze.