Il pane che abbiamo mangiato è fatto di pietra, le nostre ossa sono fatte di pietra. Questo è il ricordo che dobbiamo ai nostri nonni, che hanno vissuto pensando a un sogno, e il sogno eravamo noi. La pietra cote, utilizzata dal contadino per affilare la falce, è un oggetto umile. Quotidiano ma indispensabile. Ha una forma affusolata, quasi come un seme che nasce dal cuore delle rocce del monte Misma, a Pradalunga. Questo territorio ha una morfologia senza eguali per concentrazione di rocce fossili calcaree particolarmente ricche di silice. L'aria e il tempo le hanno rese dure, taglienti, abrasive. La loro abbondanza e unicità ha dato avvio a un commercio diffuso in tutto il mondo, fino alle Americhe e all’Australia, sostenendo l’economia del paese fin dal XIII secolo. Il Museo delle Pietre Coti di Pradalunga narra questa storia, intrisa del sudore e della forza dei minatori; della sapienza di chi ha forgiato i manufatti; di testimonianze toccanti dove echeggiano, duri come le loro mani, i nomi dei protagonisti: coderòcc, pichècc, fitadure (minatori, scalpellini, levigatrici). Un museo semplice, umile come la sua pietra, ricco di utensili maneggiati per generazioni che hanno il sapore del tempo. Le sue sale ti accompagnano a comprendere le radici della nostra storia fatta di cave e pietre, boschi e castagne, donne e uomini che hanno costruito e reso vivo questo paese. Coderòcc si pronuncia con la “c” di cielo, quel cielo che gli antichi minatori di Pradalunga vedevano di rado. Il Museo delle Pietre Coti è il luogo dove noi ricordiamo il loro cuore: un Cuore di Roccia. “Picchia. Scava, spacca, sgretola, strappa le pietre alla roccia. Respira. La polvere è negli occhi, in bocca, nel naso; sputa. I polmoni fanno male. Anche le ossa fanno male. C'è buio, c'è umido… fuori c'è il sole, ma qui è tutta una vita passata nella notte, ancora. Ancora. Ancora. Carica la gerla in spalla. Gli spallacci di salice intrecciato tagliano i tendini delle spalle, le ginocchia fanno male, scricchiolano. Poca aria nei polmoni, il peso è troppo. Cammina, scendi a valle sul sentiero, attento a non inciampare. Un carico, e poi un altro, e poi un altro ancora. Martella. Picchia, abbastanza ma non troppo. Scalpella, rifinisci, dai una forma alla pietra ignorante. Seduto, sempre seduto. Nelle orecchie il rumore assordante dei colpi. I polsi tremano, la mano non regge più il martello, le reni protestano dal dolore. Sfrega. Bagna, liscia, rifinisci. Le mani sono intirizzite, non senti più le dita per il freddo. Lo scialle sulle spalle non basta, l’inverno entra dalla schiena. E intanto pensa: così porterai a casa il cibo per i tuoi figli. Così cresceranno, magari potranno anche studiare qualcosa e fare una vita migliore, loro e i loro figli, e i figli dei loro figli. Pensa, per resistere. Pensa semplicemente, ma questo è pur un progetto di una vita. E intanto sfrega, rifinisci ancora. Ancora. Ancora…”
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