Fino alla fine del XIX secolo il Vomero costituiva una periferia pressoché disabitata e lontana dalla città di Napoli, le sue parti più antiche, come il rione Antignano, erano nuclei abitativi rurali, villaggi che, sin dai tempi dei Romani, sorgevano sulla "Via Puteolis Neapolim per colles", strada che, prima dello scavo della galleria di collegamento tra Fuorigrotta e Mergellina, costituiva l'unico collegamento via terra tra la zona flegrea e la città. Intorno al II secolo d.C. la strada fu risistemata e chiamata via Antiniana, da cui il nome al rione. Proprio nell'antico villaggio che oggi è il rione di Antignano, la tradizione vuole sia avvenuto per la prima volta il miracolo di San Gennaro, tra il 413 e il 431.
In seguito alla dominazione della dinastia normanna e di quella sveva, con gli angioini, dopo la rivolta dei Vespri siciliani, Napoli divenne capitale, nel 1282 (condizione che ricoprirà fino all'Unità d'Italia, nel 1860). Cominciò a sorgere dunque l'esigenza di risalire le pendici della collina vomerese, soprattutto per ragioni strategiche. La zona cominciò quindi a popolarsi, soprattutto a partire dalla costruzione del Chiostro Certosino, nel 1325, e quasi contemporaneamente gli angioini sostituirono l'antico torrione di vedetta (d'epoca normanna), vicino al quale sorse il Chiostro, con il Castello di Belforte, nucleo di partenza del Castel Sant'Elmo. L'assetto del restante territorio vomerese rimase tuttavia immutato.
Sotto i sovrani aragonesi e i posteriori viceré spagnoli, Napoli andò incontro ad un vertiginoso aumento demografico, dovuto alla forte immigrazione proveniente dai centri circostanti e dal resto del regno. La necessità di allargare il territorio cittadino indusse il viceré Pedro Álvarez de Toledo a dirigere lo sviluppo della città (allora solo pianeggiante) verso le pendici delle colline, rimaste fino a quel momento prive di significativi insediamenti abitativi. Tuttavia, nel 1556 una legge vietò la costruzione di nuovi edifici intorno a Sant'Elmo e, nel 1583, anche sulle pendici del colle.
Nel periodo dei viceré successivi a Don Pedro, l'espansione edilizia seguì, provocando la fusione di innumerevoli borghi; anche sulla collina iniziarono a formarsi agglomerati più omogenei, villaggi e casali. Nel Seicento nella cartografia della città si iniziano a rappresentare le prime costruzioni collinari.
Durante la peste del 1656, la collina fu utilizzata come rifugio da parte della nobiltà e del clero: si era infatti affermata la tendenza nell'aristocrazia residente nel centro storico a costruirsi una seconda casa al Vomero, tendenza che si accentuerà nel corso del Settecento, soprattutto grazie all'apertura della nuova "strada Infrascata" (Via Salvator Rosa). Tra le tante famiglie nobiliari che si stabilirono al Vomero, i Carafa, i Conti di Acerra, i Ruffo di Sicilia, i Cacciottoli, i Cangiani.
Nel 1817, il Vomero fu promosso al rango di residenza non solo nobiliare, ma anche regale, con l'acquisizione di una villa da parte di Ferdinando I di Borbone: la futura Floridiana.
Nel 1809, nella nuova divisione amministrativa della città operata da Gioacchino Murat, tutti i villaggi del Vomero entrarono a far parte della città vera e propria, nel circondario dell'Avvocata. Infine, verso la metà del XIX secolo, l'apertura di Corso Maria Teresa (ribattezzato Corso Vittorio Emanuele dopo il 1860), voluta da Ferdinando II, delimitò il confine inferiore del futuro quartiere Vomero Che fu costruito inizialmente in pieno stile Liberty.