Quasi 5 mila voti al censimento ‘I Luoghi del Cuore’ 2018: se la chiesa di Sant’Angelo Magno sarà curata dalle ferite inferte dal sisma del 2016 lo deve anche al FAI Fondo per l’Ambiente Italiano e al sostegno dei cittadini che l’hanno votata. Dal censimento è partito l’iter, lungo e complesso, conclusosi con l’approvazione di un progetto esecutivo, per restituire alla città, un monumento di grande rilevanza artistico culturale, gravemente lesionato dal sisma.
Il Monastero e la Chiesa di Sant’Angelo Magno sorgono nel terrazzamento superiore rispetto a San Domenico, in una posizione elevata rispetto all’incasato. Furono fondati forse al tempo dei Longobardi, che si erano convertiti al cristianesimo e avevano riservato alle figlie della loro aristocrazia questo luogo dominante e munito ad un tempo, dedicandolo al culto di san Michele, che difende con la spada il regno di Cristo. Il monastero risale circa nell’ottavo secolo. Esso accoglieva, le dame dell’aristocrazia longobarda che seguivano la nuova religione. Le monache protette da innumerevoli privilegi e ricchissime, divennero delle potenti feudatarie, estendendo il loro potere, oltre che nell’Ascolano, anche nel territorio di Fermo, ma nel 1460 vennero trasferite nel Convento di Santa Maria delle Donne, fuori Porta Romana, e tutti i loro beni e il loro potere furono affidati ai Monaci Benedettini Olivetani, che arricchirono in tutti i sensi il monumento, risiedendovi fino al 1831. Dopo un breve soggiorno dei Camaldolesi, il Bene passò allo Stato per la soppressione degli Ordini religiosi del 1861. Il chiostro nelle sue forme attuali viene costruito nei primi decenni del 1600 e venne eretto ad opera dei monaci olivetani succeduti alle monache benedettine, in occasione della generale sistemazione dell’antico monastero. A pianta quadrangolare con pilastri poligonali delimitati da basi e capitelli a sezione quadrata è arricchito da 36 lunette con affreschi descriventi la vita di San Benedetto dalla nascita alla santità, che rappresenta la più importante delle opere d’arte che l’ambiente ci offre, un intero ciclo di altissimo valore pittorico, di cui quasi nulla forse è ancora irrimediabilmente perduto. A sinistra dell’entrata, il primo affresco di maggiori dimensioni, che illustra la nascita di San Benedetto, è una scoperta di circa 20 anni fa, quando, distaccando una lunetta ad olio, si scoprì il bel dipinto attribuito a Sebastiano Ghezzi (autore delle lunette di San Domenico e del sepolcro di Giulio Saccoccia nella chiesa). Le tre lunette successive sono di mano ancor più prestigiosa: rappresentano l’ultima opera dell’anconetano Andrea Lilli e l’unica in città. Il pittore, nato ad Ancona nel 1555 e morto forse ad Ascoli nel 1610, mentre attendeva a questa pittura, è il rappresentante di un movimento di straordinario fervore. Stravagante neogotico, mistico e ricercato negli effetti compositivi, il Lilli crea tre lunette di originale effetto narrativo e coloristico di raffinato espressionismo. Le altre lunette, per tutto il perimetro del chiostro, sono da attribuire alla mano più modesta del fermano Francesco Fiorelli. Le storie di San Benedetto di questo autore, accompagnate da cartigli esplicativi in una pomposa lingua settecentesca, sono ricche di immagini dei personaggi e di sfondi ricercati e particolareggiati, piacevoli nei colori vivaci. Necessitano di un restauro integrale. Il Chiostro in parte fu trasformato in Ospedale Civile, in parte è affidato alle cure del Sestiere Piazzarola. Al centro del chiostro il bellissimo giardino era curato e goduto, infatti, dallo stesso Sestiere. Nei due lati vi erano gli ambienti dove si tenevano le riunioni e alcune attività ludiche e culturali, in una cornice di vero sapore rinascimentale; belle le sale dove si conservavano i Palii, i costumi e la galleria di foto e ricordi della Quintana, vero unico polo di aggregazione di tutto il quartiere, ora non più fruibile a causa dei gravi danni subiti dal Sisma del 2016.