CHIESA DI SANT'AGNELLO

MADDALONI, CASERTA

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CHIESA DI SANT'AGNELLO
La chiesa di S. Aniello a Maddaloni presenta una stratigrafia complessa che va dal VI-VII secolo al XVIII secolo; è articolata in tre navate divise da semplici pilastri in muratura i quali celano le strutture architettoniche della chiesa altomedievale, costituite da ampie arcate poggianti su colonne di spoglio. Dalla consultazione di alcune visite pastorali (1626 e 1627) si evince come la chiesa fosse non solo ricca di arredi, ma anche dotata di ben quattordici cappelle laterali che andarono perse con gli adattamenti posteriori. La storiografia ottocentesca (De Sivo, 1865) ci riferisce di lavori di sistemazione dell'altare, eseguiti nel 1721, in occasione dei quali trovarono collocazione definitiva l'altare e gli arredi sacri provenienti dalla Chiesa della Maddalena, danneggiata dal terremoto del 1688. La stessa fonte ottocentesca ci descrive la chiesa come semplicemente coperta con travi a vista. Dunque, risultano realizzate dopo il 1865 le volte in foglio alla siciliana (tre strati di mattoni disposti di piatto legati con gesso) delle tre navate, in parte sopravvissuti ai disastrosi crolli degli ultimi anni. Nel 1888 l'altare di pietra e stucco fu demolito e sostituito da uno nuovo in marmo, mentre, nel 1892, furono affrontati ampi lavori di restauro delle coperture, delle volte, delle murature perimetrali e del pavimento. In buona sostanza, la fase settecentesca, sulla quale vennero ad innestarsi le volte ottocentesche, rappresentava sino a pochi anni or sono, la fase più rilevante ed organicamente compiuta della fabbrica, tanto all'interno, quanto al suo esterno. Al di là delle gravi sofferenze storicamente sofferte della chiesa, i danni maggiormente significativi e di più problematica risoluzione restano, ancora irrisolti, quelli indotti dal terremoto del 1980, non tanto per l'evento sismico in quanto tale, quanto per le scellerate scelte che ne sono conseguite. Agli effetti del sisma si sommarono, di lì a poco, quelli dovuti ad una eccezionale nevicata che provocò il crollo delle coperture e di gran parte delle sottostanti volte in foglio. Ne seguì la realizzazione d'una copertura provvisoria, divenuta in seguito a carattere definitivo, in carpenteria metallica, incongrua sia sul piano tipologico, che formale. Inoltre, dimostrando un'arretratezza culturale abissale se rapportata alle acquisizioni teoriche contemporanee, fu avviata una ricerca, tanto sistematica quanto infruttuosa, delle strutture architettoniche relative alla fase primigenia, che comportò la demolizione degli stucchi e degli intonaci settecenteschi. Il risultato fu, comè ancora oggi osservabile, una sorta di palinsesto tra le due redazioni temporalmente più distanti, con l'aggravante che di quella più antica ben poco fu ritrovato, e di quella più recente molto fu perso. Il progetto di restauro, svolto nell'ambito di questa esercitazione, si è posto criticamente il problema, delineando le possibili vie operative per uscire dall'immobilismo operativo che sembra segnare in senso sempre più negativo le vicende recenti della chiesa. La scelta più corretta è sembrata quella di reintegrare le parti settecentesche demolite, laddove ciò non comportasse la formulazione d'ipotesi, rendendo distinguibile l'intervento; inoltre, è sembrato legittimo proporre la reintegrazione in forme semplificate di quei partiti architettonici non riconducibili attraverso gli elementi superstiti. Il progetto ha poi preso in esame il delicatissimo tema delle superfici esterne, così duramente segnate sia dal tempo, sia dagli sconsiderati interventi di consolidamento del 1980.
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