Taranta Peligna, delizioso borgo d’arte, d’acqua, natura incontaminata e della lana, è un raccolto museo diffuso che può raccontare tanti luoghi inediti da valorizzare o, semplicemente, da conoscere.
Sorge nella valle dell'alto corso del fiume Aventino, alle pendici della Majella orientale. Il nome Taranta, Tarantola fino al 1881, è strettamente correlato alla sua antica tradizione laniera, caratterizzata dalle Tarantole, famosi panni in lana pesante, che costituivano la produzione maggiore del paese. A Taranta venivano esaurite tutte le fasi produttive dell’industria laniera ed ogni suo abitante ne era coinvolto: dal pascolo dei greggi sulla Majella, alla tintura delle stoffe, alle frange delle coperte, al commercio del prodotto finale. Taranta e la lana sono due realtà che per secoli sono andate insieme: la fortuna del paese è ruotata da sempre attorno ai suoi lanifici che sfornavano tessuti e coperte famose in tutta Italia. Taranta aveva l’esenzione dai balzelli reali perché forniva le vele agli arsenali napoletani: nella periferia del paese, dal lato ovest, ci si imbatte inoltre, con stupore, in un piccolo quartiere di case realizzate dalla Monarchia e donate ai lavoranti della lana, le “Casette Borboniche”, proto esempio di architettura popolare e d’emergenza, fatte costruire per un sisma prima dell’avvento del regno d’Italia.
La centralità della lavorazione della lana per la città portò allo sviluppo del culto di San Biagio, protettore dei lanari, e la costruzione della chiesa ad esso dedicata del XVI secolo, della quale oggi rimangono ruderi, portone ligneo e portale, bellissimi e suggestivi al centro del paese
Il borgo antico, risalente all’età longobarda, era situato su una rupe, a stapiombo sulla Valle del fiume Aventino: un castello di cui sono ancora leggibili alcuni tratti di muratura di età medievale.
Il sito del Castello venne infatti parzialmente occupato dalla Chiesa Parrocchiale di San Nicola di Bari che domina dall’alto un vasto panorama di rara bellezza.
Per accedere all’edificio sacro si sale per una scalinata a doppia rampa. Nella facciata, tripartita da lesene, si può ammirare l’artistico portale della fine del Cinquecento, sormontato da un timpano triangolare spezzato. I battenti in bronzo sono opera recente dello scultore Santeusanio. Al di sopra del portale si apre una finestra rettangolare; il coronamento della facciata, ad arco ribassato, è formato da una cornice di coppi. Sulla destra, in alto, è collocato l’orologio. Pure interessante è il campanile, che si affianca alla Chiesa nella parte posteriore: diviso in due parti da un marcapiano, ha la cella campanaria aperta sui quattro lati da archi a tutto sesto. Nell’interno si trovano alcune opere d’arte degne di osservazione: tra esse, un quadro del Seicento con l’Assunta e i Santi Nicola, Donato, Biagio e Ubaldo e un Crocifisso su tavola, del Quattrocento, attribuito ad Antoniazzo di Romano. Secondo una leggenda locale, questo Crocifisso sarebbe stato trovato da un agricoltore che, insospettito dall’improvvisa sosta dei suoi buoi nel campo, aveva scavato nel terreno fino a recuperare l’oggetto sacro.