La Basilica di San Domenico Maggiore sorge in parte sull’area della chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa, eretta probabilmente prima del secolo X e officiata dai basiliani fino al 1116, anno in cui passò ai benedettini. L’edificio era collegato a un ospedale. Vi si può accedere anche dalla Piazza San Domenico Maggiore servendosi dell’ampia scalinata in piperno, detta scala aragonese, a sinistra di chi guarda l’abside.
Nel 1255 papa Alessandro IV, che, consacrato a Napoli il 20 dicembre dell’anno precedente, si trovava ancora in città, dedicò la chiesa a San Domenico, sotto il cui patronato era stato già posto l’unito convento fin dal 1234, anno di canonizzazione del santo.
Nel 1283 Carlo II d ’Angiò – allora ancora principe di Salerno e vicario del Regno – mosso dal desiderio di abbellire la città e far cosa grata ai domenicani, dei quali aveva illimitata stima, volle ingrandire la chiesa, senza però distruggere l’antica, nella misura almeno in cui poteva essere incorporata nella nuova. La prima pietra, benedetta dal cardinale Gerardo Bianco di Parma, legato apostolico nel regno, fu posta dallo stesso principe il 6 gennaio 1283. Ma il 5 giugno dell’anno seguente Carlo fu catturato dagli Aragonesi nel golfo di Napoli e i lavori o furono sospesi o andarono molto a rilento. Provato dalle sofferenze, l’Angiò, secondo alcuni, avrebbe fatto voto a S. Maria Maddalena, la santa della Provenza, di dedicarle la nuova chiesa, se fosse scampato ai pericoli. Morto il padre e riconosciuto re mentre era ancora in cattività, Carlo II, dopo la liberazione e il ritorno a Napoli nel 1289, rimise mano alla costruzione chiamandovi a lavorare i maestri francesi Pierre de Chaul e Pierre d’Angicourt. La chiesa, i cui lavori si protrarranno fino al 1324, fu dedicata a S. Maria Maddalena, ma i napoletani continuarono a denominarla con l’appellativo primitivo.
Con l’ascesa al trono nel 1442 di Alfonso I il Magnanimo il complesso architettonico venne arricchito con l’apertura, alle spalle dell’abside, dell’attuale Piazza San Domenico Maggiore, ricavata dall’abbattimento di alcune costruzioni. Fu l’Aragonese, inoltre, a far eseguire la grande scalinata in piperno.
Tra il 1446 e il 1506 terremoti e incendi danneggiarono gravemente l’edificio che fu soggetto a vari restiuri e rifacimenti e la chiesa perse la sua linea primitiva.
Nel 1670 il priore del convento Tommaso Ruffo, dei duchi di Bagnara, oltre a far ricostruire con ambiziosi progetti l’annesso convento, curò il rifacimento della chiesa e, cedendo al gusto del tempo, tentò di trasformarla da gotica in barocca. Nel corso di questi lavori – e cosi nel 1732, quando fu rifatto il pavimento su disegno di Domenico Antonio Vaccaro (1681-1750) – molte iscrizioni, lastre tombali, dipinti ecc. andarono dispersi o distrutti. Altri gravi danni subirono la chiesa e il convento durante il Decennio francese (1806-1815), con la soppressione delle corporazioni religiose.
Nel 1849 il priore Tommaso Michele Salzano – futuro arcivescovo di Edessa e consigliere di Stato – decise un altro radicale restauro della chiesa, che venne condotto in porto dal 1850 al 1853 da Federico Travaglini.
In seguito all’ultimo conflitto mondiale (1939-1945), durante il quale la basilica subì notevoli danni, particolarmente nella zona del transetto, sono stati eseguiti singoli lavori di restauro. Nel 1974, settimo centenario della morte di San Tommaso, sono stati eseguiti il restauro delle mura perimetrali della basilica (ciò che ha portato alla riscoperta del tufo originario), quello della sala San Tommaso (con il relativo affresco), e quello dei locali prospicienti il cortile. Negli anni successivi sono stati completati il restauro e la sistemazione di parte della biblioteca (con sala di lettura).