I Castelli dei Marchesi Tapparelli D’Azeglio di Lagnasco si presentano come un complesso castellato che ingloba tre diversi edifici nati sul finire dell’XI secolo e sviluppatisi fino al XVIII.
Sorgono immersi in un comprensorio frutticolo ubicato all’estremo ovest della pianura padana, all’ombra, quasi avvolti, dall’arco alpino, con i suoi massicci, il Monviso su tutti, disposti a semicerchio come a proteggere con fare materno la propria piccola creatura. Un paesaggio suggestivo soprattutto nelle giornate primaverili, quando i frutteti in fiore regalano una successione di colori che spazia dal rosa dei fiori di pesco, al bianco di quelli di susino e della neve sui monti, all’azzurro del cielo terso.
La costruzione dei Castelli Tapparelli ebbe inizio intorno al 1100 per opera dei Marchesi di Busca, i quali costruirono un fortilizio difensivo corrispondente all’attuale manica centrale.
Nella prima metà del XIV secolo, in un’epoca caratterizzata da continue lotte territoriali e che vide come protagonisti anche gli Angiò, il primo nucleo dei Castelli venne ampliato e riorganizzato da Manfredo IV di Saluzzo.
Dimora ufficiale della signoria dei Tapparelli a partire dalla seconda metà del 1300, i Castelli videro nel XVI secolo il periodo di maggior rinnovamento architettonico ed artistico grazie al volere di Benedetto I Tapparelli, figura eclettica e raffinata, giudice in Saluzzo durante il dominio francese di re Francesco I.
Intorno al 1470, durante la guerra tra la Francia e il marchesato di Saluzzo, il castello di Levante ospitò la corte di Jolanda di Francia e Amedeo IX di Savoia, nel tentativo di salvare le terre sabaude in Piemonte dalla dominazione francese. Nel 1560 il castello ospitò la corte di Emanuele Filiberto di Savoia e Margherita di Valois in viaggio da Savona a Vercelli, attraverso il ducato sabaudo appena riconquistato in seguito al trattato da Cateau-Chambrésis. A ricordo di questi avvenimenti rimangono il salone degli scudi, arricchito da una cospicua raccolta araldica, e la loggetta delle magiche grottesche, frutto della fantasia di Pietro Dolce, artefice di creature immaginarie, mostruose, fauna di quel mondo figurativo e delirante della tipica pittura nordica del Bosch.
Sul finire del XIX secolo Emanuele D’Azeglio Tapparelli, nipote di Massimo d’Azeglio ed ultimo discendente della signoria, riportò sotto il suo controllo l’intero complesso negli anni condiviso con altre famiglie nobili.
Alla sua morte, avvenuta nel 1890, i Castelli e le terre vennero messi a disposizione della comunità, confluendo nel patrimonio terriero e immobiliare dell’Opera Pia Tapparelli, rispettando il volere di un uomo nobile di spirito, oltre che di rango.
Nel 1998 ebbe inizio un primo lotto di lavori di riqualificazione strutturale del complesso, che si concluse nel 2008, riportando alla luce un inaspettato scrigno di meraviglie e splendida testimonianza di evoluzione artistica ed architettonica plurisecolare.
Le sale celano grottesche e affreschi raffinati di importanti artisti quali Pietro e Giovanni Angelo Dolce, Cesare Arbasia e Giacomo Rossignolo, e secondo gli storici rappresenta una delle principali espressioni del rinascimento piemontese.
Solo una piccola parte dell’immobile è stato artisticamente recuperato e le superfici ancora da “riscoprire” sono almeno il 70% dei circa 5.000 metri quadrati affrescati, dalle cantine al piano nobile.
Dal 2010 è di proprietà comunale; nel 2020, in mancanza di un piano di prevenzione incendi adeguato alle recenti normative, il percorso museale è stato chiuso al pubblico, in attesa di reperire le risorse necessarie per i necessari adeguamenti.