C’è una strada a Napoli che tutti chiamano la scesa dei pompieri. Inizia dalla chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, scorre lungo la facciata laterale del vecchio Policlinico, finisce in via dei Tribunali, il decumano superiore. È relativamente stretta, parzialmente interessata dalla ZTL e tuttavia sempre affollata, di gente e di veicoli. Si chiama via del Sole ma a nessuno viene in mente di indicarla col suo nome, per tutti è sempre stata la strada dei pompieri perché qui, nell’ex convento trecentesco della Pietrasanta, dirimpettaio del Policlinico, ha sede la caserma dei vigili del fuoco più antica d’Italia.
Il primo corpo di pompieri dell’Italia preunitaria fu fondato a Napoli nel 1806 da Giuseppe Napoleone sul modello dell’omologo corpo francese Sapeurs-pompiers (i vigili delle pompe. D’acqua, ça va sans dire). Ma siccome la stagione francese non durò a lungo, la Compagnia dei Pompieri viene fondata una seconda volta nel 1833 dal restaurato Ferdinando II (di Borbone), come una lapide posta all’ingresso della caserma attesta.
Ora non è che i Savoia volessero essere da meno, e così anche Vittorio Emanuele II si affrettò a fondare di nuovo il corpo dei pompieri all’indomani dell’unità, nel 1862.
E però tra tutte queste lapidi e fondazioni c’è un filo rosso che ha un nome e cognome: Francesco Del Giudice. Campano di Capua, ingegnere alla Scuola di Ponti e Strade, Alfiere del Genio Militare della Nunziatella, considerato una specie di Leonardo da Vinci del suo settore, Del Giudice fu direttore dei pompieri di Napoli dal 1839 al 1880, “unico caso di figura pubblica del Regno delle Due Sicilie che mantenne la sua carica anche dopo l’Unità d’Italia”. Carica che lasciò sua sponte per andare a fondare e a dirigere come preside il primo Istituto Professionale della storia napoletana. Comandante, scienziato, innovatore e docente, Del Giudice era - come diremmo oggi - avanti. A metà del 1800, per esempio, innovò le pompe idrauliche rendendole più leggere e quindi trasportabili, ma anziché brevettare il sistema inviò il suo progetto a tutti i direttori dei Pompieri degli Stati Italiani ed europei, nonché al Sultano di Costantinopoli.
Introdusse per la prima volta la vigilanza antincendio preventiva “da applicare nei teatri cittadini della capitale del Regno” da realizzarsi con una squadra dedicata a quel servizio ma in orario straordinario e con il “corrispettivo a carico dell’impresario”. Istituì la prima squadra di addetti antincendio presso il Real Museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale) operante h24 nei laboratori di restauro della Reale Officina dei Papiri Ercolanensi. Progettò una rete di bocche da incendio in tutta la capitale del regno, con prese d’acqua e piccoli serbatoi, dotando così la città di una capillare rete di idranti antincendio. Dai suoi molteplici libri, scritti e manuali emerge che si è occupato anche degli addestramenti ginnici utili ad arrampicate e discese, di autorespiratori, di teli di salvataggio.