VICO EQUENSE. Il Monte Faito attrae gli amanti delle passeggiate tra i boschi, ma lo stato in cui si presentano le strade che conducono alla cima del santuario dedicato a San Michele Arcangelo è disastroso. A meno di non possedere un fuoristrada o di avere per la propria vettura un totale disinteresse, avventurarsi per il percorso asfaltato e deteriorato da anni di incuria è davvero rischioso. Le sollecitazioni alle ruote e agli ammortizzatori distruggere qualsiasi veicolo vi si avventuri. E chi possiede un’abitazione o vuole locare una delle bellissime villette dei boschi deve armarsi di un rastrello per ripulire la strada dalle pigne che in questo periodo cadono copiose, rendendo il fondo stradale ancora più aspro. Tuttavia, vale la pena affidarsi alla sorte e percorrere tutta la strada fino alla cima della montagna. Il panorama davanti al sagrato della chiesetta retta da don Catello Malafronte - parroco della Chiesa Sant’Antonio di Padova a Castellammare di Stabia - è da capogiro. Grazie al giovane Emanuele, che da Gragnano ha deciso di “trasferirsi” nel “Rifugio San Michele”, per tenere aperta la cappella e accogliere i visitatori con qualche aneddoto e tanti consigli, quel piccolo tempio è sempre pulito e visitabile. Ancora più gradevole grazie agli sforzi del suo Rettore che lo sta a mano a mano adeguando agli standard di una chiesa moderna. «Ora, il “Rifugio San Michele” - spiega Emanuele - può offrire un’oasi per il picnic, se telefonate vi facciamo trovare l’area riservata con tavoli, panche e barbecue. Ma, se volete, vi prepariamo noi da mangiare. E tra un po’ è disponibile anche come B&B, per chi desidera passare la notte in montagna: posto letto e prima colazione». Di fronte al Rifugio, che in passato era un ostello solo per ragazzi, c’è uno slargo dove parcheggiare per avviarsi verso i sentieri che conducono alle Neviere, ai faggi secolari e alla grotta dell’apparizione dell’Arcangelo San Michele ai santi Catello e Antonino avvenuta nel 400. Sono luoghi che meritano rispetto, non solo religioso. Perché, forse, non tutti sanno che il bosco del Faito è caro agli studiosi della natura in quanto definito “bosco primitivo”, dove, cioè, dalla sua millenaria origine, la mano dell’uomo non ha apportato modifiche al suo naturale sviluppo e gli alberi e il sottobosco si rigenerano spontaneamente senza insulti esterni. Tutto tra quei tronchi altissimi richiama al silenzio e all’ascolto: un’orchestra di uccelli che si parlano tra i rami, il lieve rumore dei passi e del fruscio delle foglie. I rami spezzati marciscono senza che alcuno li sposti dal luogo dove l’albero lascia che cadano e nel loro degradarsi nutrono il terreno nel quale trovano posto altri minuscoli insetti e i semi dei nuovi alberi... Quelli più anziani hanno meritato l’appellativo di “mamma dei faggi”, “padre dei faggi”, e contano 500 e 600 anni... o più. Il “re dei faggi” - forse il più antico albero monumentale della Campania - ha terminato il suo ciclo di vita e, ormai secco e cavo all'interno, si è spezzato. Ora anche il suo tronco secolare, che giace in una delle neviere, è un artistico angolo di questo meraviglioso quadro della natura. Nessuno osi spostare da lì quel simbolo della storia del "bosco primitivo". Una piccola spiegazione su questo luogo va dato: si chiama Neviere perché vi si trovano delle profonde fosse rotondeggianti, dove - nei mesi invernali e nevosi - veniva pressata all’interno la neve, poi ricoperta di fogliame che fungeva da isolante. E in tal modo si assicurava in estate una riserva di neve per rinfrescare le bevande (’o vino c’a neve) durante i mesi più caldi.