ACQUEDOTTO BIGINI

PARTANNA, TRAPANI

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ACQUEDOTTO BIGINI
L'acquedotto di Bigini, la cui maestosità ancora oggi è percepibile, si dipana lungo un contesto paesaggistico e naturalistico degno di grande attenzione, si estende in un territorio denominato Valle del Belice ed ha una lunga storia da raccontare. Castelvetrano nel XVI secolo pativa la mancanza di copiose risorse idriche, così come attestano i documenti oggi conservati nell'Archivio Storico della nostra città. La soluzione a tale problema venne per la prima volta presa in considerazione dal feudatario di Castelvetrano: il principe Carlo Aragona Tagliavia. Prima di allora la nostra città si riforniva delle acque di Cuddemi e di Dardani, acque sì buone, ma insufficienti nei periodi miti. Fu nel 1574 che Castelvetrano acquistò le copiose sorgenti di Bigini (all'epoca in territorio castelvetranese) dai Lucchese Ponte di Salemi mediante un pagamento di 30 onze così come da stima effettuata sull'effettivo valore delle citate sorgenti. Nel maggio del 1575, sempre il principe Carlo, convocò un consiglio civico per proporre un ambizioso progetto atto a portare in città l'acqua di Bigini, dallo stesso definita «buona et sufficientissima». La buona volontà del principe, che sempre per Castelvetrano dimostrò interesse e affetto, non produsse però nulla di effettivamente concreto, tanto che i primi passi per la costruzione del novello acquedotto furono fatti sotto il principato del nipote Carlo II Aragona e Tagliavia; questi nel 1610 circa, stipulò una convenzione con il fontaniere napoletano Orazio Nigrone per realizzare l'acquedotto che dalle sorgenti di Bigini portava il prezioso fluido in città. Fu con «con grandissima alligrizza et satisfazioni del populo» che Castelvetrano salutò il primo zampillo d'acqua, nella piazza del mercato vecchio, in una fontana provvisoria.
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