A sud di Padova e nei pressi dei Colli Euganei, nella fertile pianura incastonata tra il fiume Vigenzone, il Biancolino ed il Canale di Battaglia, in quella che fu la culla della signoria dei Carraresi, sorge il monumentale complesso ex abbaziale di S. Stefano di Carrara.
La tradizione, confortata dalle attestazioni di alcuni tra i più insigni storici, fa risalire una prima presenza monastica in questo luogo al 910 d.C., quando l’abate Bernone di Cluny avrebbe qui instaurato una fondazione di obbedienza Cluniacense. Altri studiosi vedono invece nella presenza della antica chiesetta sotterranea di S. Pietro (attribuita ad un periodo che va dal VII al IX secolo) un elemento catalizzatore che avrebbe potuto portare in Carrara una qualche forma di monachesimo già in un periodo antecedente.
Per l’area del sedime abbaziale sussistono peraltro – nel corso dei secoli - ritrovamenti frequentissimi, tutti datati dal I al III secolo d.C. (e riguardanti essenzialmente iscrizioni, sarcofagi, colombari, depositi di anfore, resti di fondazioni, torsi di statue), attestanti la frequentazione e la presenza di una certa floridezza nel territorio circostante durante il periodo romano imperiale.
E’ comunque consolidato come il monastero di Santo Stefano di Carrara sia quello più antico di attestata fondazione nella provincia di Padova. Lo assicura un documento del luglio 1027 nel quale Litolfo q. Gumberto de loco Carraria dona alla “ecclesia Sancti Steffani martiris Christi”, ed ai monaci all’atto presenti, quindici poderi oltre ad una pezza di terreno di alcuni campi nel circuito dell’esistente chiesa, a suo uso e perché si potesse edificare il monastero.
Il monastero si sviluppò durante i successivi quattro secoli in edifici, possessi ed influenza, tanto da risultare nel XIII-XIV secolo il più autorevole e potente – per censo ed uffici - della diocesi dopo quello di S. Giustina di Padova, competendo tra l’altro di diritto al suo abate il vice-cancellierato dell’Università di Padova.
Nella chiesa abbaziale, dalla dinastia Carrarese principalmente dotata, tutta la prosapia ritornava per le proprie sepolture, almeno sino alla metà del Trecento.
Con l’avvento della Signoria di Venezia e la fine del principato Carrarese, il monastero decadde e divenne Badia concistoriale e Commenda cardinalizia, in possesso tra l’altro a due papi e per un secolo e mezzo alla dinastia medicea.
Con la morte dell’ultimo commendatario e la contemporaneità della guerra di Candia, la repubblica Veneta mise nel 1776 all’incanto tutti i beni abbaziali, acquistati nel 1779 dal Marchese Andrea Erizzo, procuratore di San Marco, che provvide nel 1793 a far demolire tutte le rimanenti fabbriche abbaziali, con la sola eccezione di quelle ancora oggi esistenti.
Fu merito dell’abate Ceoldo alla fine del Settecento, con l’acquisto di tali rimanenti edifici, e dei successivi parroci ottocenteschi, che ne acquisirono anche le attuali pertinenze, l’aver saputo preservare alla posterità le importanti vestigia di quello che fu uno dei cenobi più importanti dell’alta Italia medievale.
La chiesa è stata oggetto di un importante restauro (in tre fasi, dal 1876 al 1896) su progetto dell’Arch. Camillo Boito. Conserva lo splendido mausoleo sepolcrale di Marsilio Grande da Carrara, signore di Padova (opera del 1338 di Andriolo de Santis), il gruppo scultoreo in terracotta della Pietà di Andrea Briosco detto il Riccio (ultimo decennio del XV sec.), tre grandi lacerti musivi della pavimentazione originaria (X-XI sec.), il fonte battesimale mediceo (anno 1580), oltre ad un modesto ma prestigioso organo, opera di Pietro Nachini e Gaetano Callido.
La casa canonicale (con la sopraelevazione medicea del 1588, illustrata tra l’altro da un maestoso stemma con iscrizione di Ferdinando I de Medici, Cardinale e Granduca di Toscana) è stata invece oggetto di un recente restauro conservativo sulle facciate sud ed ovest, che ha permesso di ricostruirne le numerose fasi costruttive e stratigrafiche.