15 ottobre 2017
Il marchio del FAI ha una bella storia, nasce infatti a metà anni '70 dalle mani e dalla mente di Pino Tovaglia, uno dei più grandi grafici italiani del secondo dopoguerra. In realtà l'incarico di elaborare il logo della Fondazione in un primo momento venne dato a Roberto Sambonet, su suggerimento di Franco Russoli, uno dei quattro fondatori del FAI. Il risultato tuttavia non piacque e allora Renato Bazzoni commissionò lo studio del marchio a Tovaglia, forte del rapporto che si era creato tra i due un decennio prima in occasione di “Italia da salvare”, la mostra che segnò un vero spartiacque nella consapevolezza generale dei rischi ai quali era esposto il nostro patrimonio e che divenne motore generatore della Fondazione.
Pino Tovaglia, era allora uno dei più giovani esponenti di quella “Scuola Svizzera”, che nel secondo dopoguerra diffuse a Milano uno stile grafico sviluppato negli anni ‘20 a Zurigo e i cui punti chiave erano chiarezza, semplicità, leggibilità e obiettività, senza alcun accenno al decorativismo. Per il marchio del FAI Tovaglia prese ispirazione da elementi architettonici, quali i bastioni della cittadella di Alessandria, e naturalistici, quali il profilo del fogliame. Questi elementi trovarono poi una sintesi nell'elemento grafico a sei cuspidi che nel corso di quarant'anni si è indissolubilmente legato all'immaginario della Fondazione.
Quarant'anni dopo il FAI ha sentito la necessità di rivedere il proprio logo, all'interno di un percorso di comunicazione che si è dato l'obiettivo di conquistare alla missione della Fondazione un pubblico sempre più ampio. Dato che nel tempo il marchio originario aveva subito evoluzioni e manipolazioni, si è sentita la necessità di tornare all'originale pulizia “svizzera” e per far questo ci si è rivolti a Massimo Pitis, che di Tovaglia è attento cultore e studioso, come testimonia la mostra da lui curata pochi anni fa sull'opera del grafico.
“L’occasione di riprendere, adattandolo al nostro quotidiano, il progetto di corporate identity di Tovaglia è stato una sfida importante per me” spiega Pitis. “Uno di quei momenti in cui nella professione senti di aver raggiunto un altro traguardo. Lavorare per il FAI è per me un onore, oltre che una responsabilità. L'ho fatto con i ragazzi del mio studio a cominciare dal maggio 2016 con passione e serietà. Abbiamo cominciato rivedendo il disegno del marchio, ripartendo dai primi schizzi di Tovaglia”. Il lavoro sul logo ha implicato anche la progettazione di un carattere tipografico che affonda le radici nella storia di Roma, con proporzioni che richiamano esplicitamente quelle dei caratteri che campeggiano sulla colonna Traiana. “Si tratta di un progetto ambizioso, delicato e complesso” continua Pitis “l'organizzazione ha le sue regole e pretende un ascolto attento. Ha una storia importante da rispettare. Ma anche la necessità di rinnovarsi, di guardare a un pubblico nuovo e diversificato. Di ripensare alla propria comunicazione innovando sempre, senza per questo perdere contatto con la propria tradizione. Una scommessa che abbiamo accettato volentieri e che con il team del FAI stiamo provando a vincere”.
La speranza è che la rinnovata identità visuale della Fondazione incontri il favore di chi segue da tanti anni l'impegno e l'evoluzione della Fondazione, ma soprattutto che contribuisca a rendere gli obiettivi del FAI più riconoscibili e comprensibili a un numero sempre maggiore di italiani.