22 maggio 2023
Marco Magnifico, Presidente del FAI, fra dissesto idrogeologico, crisi climatica e le drammatiche immagini dell’alluvione in Emilia Romagna, non si può più restare indifferenti. Nemmeno davanti al rimpallo di responsabilità, e al pesante scambio di accuse fra ambientalisti e protagonisti della scena politica.
Il FAI sulla tutela del territorio ha incardinato la battaglia “culturale” nei prossimi anni. Intravede una via d’uscita?
Dobbiamo innanzitutto distinguere fra la crisi climatica, e la conseguente lotta al cambiamento globale che è la madre di tutte le battaglie, e la condizione di mancata manutenzione del territorio, il nostro paesaggio italiano, il primo bene culturale da tutelare. Gli eventi catastrofici ci sarebbero ugualmente ma con esiti meno drammatici, con danni più contenuti. Come FAI possediamo anche porzioni di paesaggio e la prima cosa che facciamo è metterli in sicurezza. Possediamo l’Abbazia di San Fruttuoso che fu distrutta nel 1915 da una rovinosa alluvione per mancanza di manutenzione del torrente che scende dal monte di Portofino e che passa proprio sotto la chiesa. Abbiamo restaurato quel corso torrentizio, creato insieme al Comune delle vasche di laminazione che puliamo tutti gli anni in modo che in casi rovinosi di forti eventi meteorologici il fiume possa fare il suo mestiere.
Come riportare il tema della cura del territorio al centro delle priorità della politica senza dover ogni volta attendere le tragedie?
Sarebbe la più grande opera pubblica mai realizzata, mettere in sicurezza il territorio. Abbiamo organizzato tre convegni sul tema, consapevoli che il paesaggio è un organismo e come tutti gli organismi va curato.
La prevenzione non porta voti…
Dobbiamo ribaltare l’approccio. Sono convinto che quando il tema entrerà prima dalla testa e nel cuore degli italiani allora la politica sarà costretta ad agire. La coscienza sui temi ecologici è aumentata negli ultimi anni ma non abbastanza da diventare forza d’urto.
Concretamente cosa dobbiamo fare?
Cominciare ad aver nuova cura per l’agricoltura di collina e montagna, sostenere gli agricoltori con una politica fiscale agevolata, altrimenti è conseguente l’abbandono delle terre, il disinteresse per il territorio. Il dissesto idrogeologico comincia da qui. Siamo convinti che il ruolo dell’agricoltura possa essere determinante per contribuire a recuperare una situazione che è destinata solo a peggiorare; non parlo della grande agricoltura intensiva di pianura, ma della piccola e media agricoltura di collina e bassa montagna. Servono piani per intervenire, non azioni scoordinate. Prenda le energie rinnovabili: non serve sempre dire “no” ma sarebbe utile un approccio propositivo per individuare le aree dove si possono collocare pannelli solari e pale eoliche, convocando un tavolo tra ministeri dell’Ambiente, della Cultura, dell’Agricoltura, dello Sviluppo economico con la conferenza Stato-Regioni e l’Anci, l’associazione dei Comuni. Manca la volontà politica di definire tutto e il risultato è che ci sono Italia imprenditori privati che rilevano al triplo del loro costo campi agricoli per installare impianti. Accade nel Tavoliere delle Puglie che è il “granaio” d’Italia. Rovinano il paesaggio, inficiando pure la possibilità di avere grandi coltivazioni di grano. Ho scritto a due ministri, inviato una lettera aperta al governatore della Puglia, Emiliano, nessuno mi ha risposto. Sono problemi scomodi che vengono continuamente rimandati ma a furia di rimandarli ecco che succedono le tragedie.
Sembra quasi un manifesto politico…
Il FAI non si occupa di politica ma facciamo opinione attraverso il nostro lavoro, quello di un’istituzione culturale che si appresta, nel 2025, a celebrare i suoi primi 50 anni. Abbiamo 270mila iscritti, 70 Beni posseduti e gestiti, un bilancio da 35 milioni di euro. L’anno scorso abbiamo registrato un milione di visitatori nei nostri Beni.
Ultime acquisizioni?
Due alpeggi in montagna, uno sulle Alpi Orobie, in Valtellina, e l’altro a Monte Grappa. Erano abbandonati, li stiamo curando e abbiamo riportato le vacche che brucano l’erba degli alpeggi e ciò ha anche degli effetti di prevenzione sulle valanghe.
Vi si accusa di essere snob…
L’avventura è iniziata in un salotto estremamente elitario della famiglia Crespi chiedendo l’aiuto sostanzioso di poche persone. Oggi il FAI vive e prospera grazie al sostegno limitato di tanti cittadini italiani che hanno capito che la Fondazione svolge un ruolo veramente sussidiario allo Stato.
Lei è Presidente del FAI da un anno e mezzo, quali sono i suoi obiettivi?
Mi sento un Presidente “operaio”, mi piace mettere le mani nella terra, desidero i giardini perfetti, i Beni raccontati nel dettaglio, è una missione educativa nella concretezza. E ho un sogno…
Prego…
Vorrei fare ancora di più per valorizzare il nostro meraviglioso Sud, è il tesoro dell’Europa.
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