I Beni del FAI e il racconto di 25 tonalità di “verde”

I Beni del FAI e il racconto di 25 tonalità di “verde”

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I Beni del FAI e il racconto di 25 tonalità di “verde”
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31 luglio 2020

Le Giornate FAI all’aperto sono state l’occasione per conoscere meglio il nostro patrimonio “verde”. Nei Beni del FAI si possono continuare ad ammirare le tante sfumature di “verde” che si intrecciano con la storia che ogni Bene custodisce.

L’estate 2020 sarà all’insegna del turismo di prossimità. Un’occasione più unica che rara per visitare luoghi vicini per una vacanza a breve raggio senza farsi mancare la bellezza del nostro patrimonio di cultura, arte e, soprattutto natura. I Beni del FAI sono la meta ideale per accontentare quella voglia di “verde” che gli italiani hanno accolto con entusiasmo durante le Giornate FAI all’aperto dell’ultimo weekend di giugno.

Mettendo al centro della propria proposta il patrimonio di natura, ambiente e paesaggio del nostro Paese, il FAI vuole portare a compimento un obiettivo che la persegue fin dalla sua nascita, invitando gli italiani a riavvicinarsi agli spazi verdi aperti, a riscoprire in essi una fonte di benessere ricreativa e salutare e far propria quella «cultura della natura» che necessariamente deve diventare il fulcro di un nuovo progetto educativo per le generazioni presenti e future.

Ogni Bene della Fondazione racconta una storia e per quest’estate abbiamo selezionato venticinque Beni dal Piemonte alla Sicilia, dalla Toscana alla Puglia, tutti con la loro peculiare “sfumatura” di verde.

Villa del Balbianello sul Lago di Como racconta il “verde violentato”, la natura violentata, ovvero forzata dalla mano dell’uomo; il giardino settecentesco custodisce specie vegetali modellate ad arte - l’arte della potatura o ars topiaria - con cura costante, grande abilità e infinita pazienza, per spingere la natura ad assumere forme innaturali, artificiose e ardite, che suscitano meraviglia; tra accostamenti di specie rare e virtuosistiche siepi, spiccano il grande leccio potato “a ombrello” (oggi da giardinieri tree-climbers) e il ficus repens che da secoli avvolge le colonne della Loggia Durini in una spirale, come un verde ricamo.

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Villa Panza a Varese racconta il “verde architettato”; in cima a una panoramica collina si estendono un giardino alla francese, con una monumentale carpinata e un’esedra di lecci potati in forma, e un parco all’inglese con colline, tempietto e laghetto, che sono il risultato di disegni successivi, dovuti ai proprietari e alle mode tra Seicento e Novecento, ma soprattutto di radicali interventi costruttivi, tra cui lo sbancamento della stessa collina, oggi inimmaginabili, perfettamente integrati in un luogo concepito da sempre per esprimere armonia ed equilibrio, nella natura come nell’architettura e nell’arte.

Abbazia di S. Maria di Cerrate a Lecce racconta il “verde malato”; da alcuni anni un’epidemia ha colpito la popolazione degli ulivi del Salento: il batterio della Xylella fastidiosa continua a mietere vittime nel paesaggio pugliese storicamente caratterizzato da distese di ulivi, che sostengono l’economia tradizionale del territorio e che, con esemplari ultra-centenari, oggi sono riconosciuti veri e propri “monumenti” del patrimonio, censiti e tutelati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo; il progetto di un uliveto sperimentale a Cerrate, intrapreso dal FAI con la Provincia di Lecce e diretto dal CNR, contribuisce alla ricerca sulle soluzioni a questa drammatica epidemia.

Castello di Masino a Caravino (TO) racconta il “verde d’archivio”; grazie alla ricerca nei documenti d’archivio custoditi nella Biblioteca del Castello, il FAI ha potuto ricostruire la storia dei giardini e del parco, con alberi secolari e rari come i corbezzoli; dai grandiosi progetti settecenteschi alla francese, con grandi allee alberate, geometrici parterres e un labirinto, alla trasformazione ottocentesca all’inglese, con boschetti e radure in cui spicca un tempietto neogotico; fedele ai documenti d’archivio, il FAI ha ricostruito con duemila piante di carpino il labirinto settecentesco, il secondo più grande in Italia, e ha reimpiantato un vigneto di “Erbaluce”, una produzione locale che storicamente contribuiva all’economia del Castello.

Giardino Pantesco Donnafugata a Pantelleria (TP) racconta il “verde primigenio”, un arancio secolare della varietà “Portogallo” è l’unico albero di questo giardino che è come l’archetipo stesso del giardino, erede di una tradizione mediterranea millenaria che perdura nell’isola; un muro a secco di pietra lavica circonda la pianta per proteggerla dal vento, ma soprattutto per fare ombra, per raccogliere e convogliare al suolo pioggia, umidità e rugiada notturna, creando così un microclima particolare che garantisce senza alcuna irrigazione la sopravvivenza dell’albero: un sistema perfetto, talmente ingegnoso ed efficace da sembrare una magia.

Monte Fontana Secca a Quero-Vas (BL) racconta il “verde eroico”, di un doppio eroismo: l’eroismo rurale, di una malga che storicamente caricava al pascolo transumante centinaia di vacche della locale razza “burlina”, oggi quasi in via d’estinzione, nonostante l’assenza di acqua (da qui il nome “Fontana Secca”) ancora oggi perdurante, e che tornerà con il FAI a far pascolare le stesse vacche grazie a ingegnosi abbeveratoi mobili; l’eroismo bellico, perché qui nel 1917 si è consumata una delle più drammatiche battaglie della Grande Guerra, di cui restano nel terreno le ferite delle trincee, ancora oggi scolpita nella memoria locale e nazionale.

Bosco di San Francesco ad Assisi (PG) racconta il “verde spirituale”; nei sessanta ettari di tipico paesaggio umbro, un sentiero nel bosco, che parte dalla Basilica di San Francesco, invita a riflettere i “pellegrini del XXI secolo” sull’armonia tra Uomo e Natura che ha reso immortale, e ancora di stringente attualità, la parabola di Francesco; sullo stesso tema riflette l’artista Michelangelo Pistoletto che ha lasciato al FAI, in una radura, un’opera d’arte naturale che suggerisce un’esperienza altrettanto spirituale, seppur laica e contemporanea: un Terzo Paradiso di 121 ulivi è il simbolo della necessità di fondere il “paradiso della natura” con il “paradiso dell’uomo”, in una sintesi virtuosa che metta scienza e conoscenza al servizio di una nuova umanità, capace di convivere, come predicava San Francesco, in armonia con la natura.

Villa dei Vescovi a Luvigliano di Torreglia (PD) racconta il “verde d’ozio” e lo speciale rapporto tra verde reale e verde dipinto, attraverso i continui rimandi fra interno ed esterno della villa, fra il paesaggio reale dei Colli Euganei, in cui è immersa, e il paesaggio dipinto sulle pareti affrescate dal pittore Lambert Sustris. Il rapporto con la natura, anche nel suo aspetto agricolo-produttivo che si ritrova nel brolo coltivato della villa, è un elemento fondamentale dell’umanesimo rinascimentale, nutrito di antichità classica, che qui è tradotto in architettura: per il diletto dei Vescovi di Padova questa è una villa d’ozio alla latina, fatta per il riposo e per lo studio, favoriti entrambi dall’immersione nella natura.

Castello della Manta a Manta, vicino Saluzzo (CN), racconta il “verde dipinto”. Nella Sala Baronale, capolavoro della pittura quattrocentesca di soggetto profano, tra le figure storiche ed eroiche dipinte spuntano piante, fiori e alberi da frutto riprodotti con accurata precisione botanica: cotogni, nespoli, pruni, azzeruoli, peschi, fichi e peri. In una stanza vicina un recente restauro del FAI ha svelato l’affresco di un intero giardino di alberi di biancospino con rami fioriti e carichi di frutti: un “verziere” tipico delle dimore medievali, qui dipinto per dare l’illusoria impressione di trovarsi in un vero giardino alberato.

Castello di Avio nella Bassa Vallagarina (TN) racconta il “verde tra le mura”. Tra le mura medievali il FAI mantiene vive su graziosi terrazzamenti le storiche coltivazioni di viti (vecchie e di nuovo impianto dell’autoctono vitigno “Enantio”), un uliveto (55 piante che danno 140 litri d’olio all’anno), un piccolo orto (che dà frutti alla Locanda del Castello) e le arnie delle api, perpetuando la tradizione di un’autosufficienza militare, ma anche produttiva che nei secoli ha caratterizzato il Castello.

Riserva dei Giganti della Sila a Spezzano della Sila (CZ), nel Parco Nazionale, racconta il “verde gigante”: 5 ettari della storica “silva” silana dove giganteggiano 60 esemplari di pino laricio alti fino a 45 m, con tronchi larghi fino a 2 m e un’età media di 350 anni. Questi “giganti” di natura sono protetti come veri e propri monumenti e il loro habitat naturale è oggetto di ricerche scientifiche sulla biodiversità botanica e micologica del sito, caratterizzata da una ricca varietà di licheni, funghi e piante officinali.

Villa Fogazzaro Roi a Oria in Valsolda (CO), sulle rive comasche del Lago di Lugano, racconta il “verde letterario”. Dimora estiva dello scrittore Antonio Fogazzaro, la villa e il suo paesaggio sono lo sfondo in cui è ambientato il famoso romanzo Piccolo mondo antico, edito nel 1896; nel giardino pensile e nell’orto “di Franco”, affacciati sul lago, si ritrovano le specie citate nel romanzo: le piante di osmanthus, il ficus repens che si arrampica lungo la muraglia, l’antica rosa, i cipressi e il pinus pinea, che già alla fine dell’Ottocento - come scrive Fogazzaro - era “il colosso della famiglia”.


Villa Della Porta Bozzolo
a Casalzuigno (VA) racconta il “verde teatro”. Un sontuoso giardino formale, con quattro terrazze decorate da statue e la radura del cosiddetto “teatro”, impreziosita dai giochi d’acqua di una fontana-peschiera, è uno spettacolo che dal Seicento stupisce e diletta gli ospiti di questa “villa di delizia”. Una scenografia disegnata e costruita ad arte, che risale fino a un panoramico belvedere, concepita per fondere bellezza e produttività agricola: sulle terrazze, oltre a un roseto (piantato dal FAI) e a rare camelie, storicamente si coltivano ulivi, peri, meli, prugni, peschi e limoni.


Parco Villa Gregoriana
a Tivoli (RM) racconta il “verde romantico”: un giardino all’inglese, voluto nell’Ottocento da Gregorio XVI per incorniciare l’impressionante cascata dell’Aniene, ingegnosamente deviato dopo le frequenti drammatiche piene della città; ripidi versanti rocciosi, archeologiche rovine di templi romani, impetuose sorgenti e cadute d’acqua, in una fitta composizione di specie vegetali del tutto artificiale, hanno suscitato meraviglia e il senso romantico del “sublime” nei viaggiatori del Grand Tour, così come nei visitatori di oggi.

Villa Necchi Campiglio racconta il “verde milanese”: su una parte del parco storico della dimora dei Conti Cicogna, frammentato e ridotto dalle trasformazioni urbane degli inizi del Novecento, l’architetto Piero Portaluppi realizza nel 1935, per i proprietari Necchi Campiglio, una “villa in città” con i lussuosi comfort di una piscina e di un campo da tennis; nel progetto, un elegante equilibrio tra edificio e giardino, con gli interni che armonicamente dialogano con gli esterni attraverso ampissime finestre e vetrate e una veranda o giardino d’inverno.

Abbazia di San Fruttuoso a Camogli (GE) racconta il “verde dissestato”. Il vasto uliveto su terrazzamenti, già coltivato dai monaci medievali e risorsa economica dell’Abbazia, incastonato nel manto boschivo del Monte di Portofino, è stato progressivamente abbandonato e si è inselvatichito; senza la storica manutenzione, oggi è minacciato dal dissesto idrogeologico che molto affligge la Liguria: per questo il FAI, oltre alla tutela dell’Abbazia, ha intrapreso un complesso progetto di restauro e conservazione del paesaggio.

Monastero di Torba a Gornate Olona (VA) racconta il “verde longobardo”: un monastero di monache benedettine posto al limitare di un bosco, cela silenzioso e pacifico i monumentali resti della città longobarda di Castelseprio che sono al centro di indagini archeologiche intraprese dal FAI con esiti sorprendenti: oggi la natura ha preso il posto dell’antica città e lungo il fiume, un tempo inquinato, percorsi a piedi e in bici permettono di riscoprire un angolo intatto di verde della Valle dell’Olona.

Alpe Pedroria e Alpe Madrera a Talamona (SO) raccontano il “verde pascolo” ai piedi delle Alpi Orobie della Valtellina. Il FAI ha restaurato le baite immerse in uno scenario di biodiversità montana e ha recuperato la locale tradizione agro-pastorale, nel tempo abbandonata, che naturalmente preserva e manutiene i pascoli, reintroducendo le razze autoctone di bovini (bruna originale) e caprini (capra orobica); oggi una famiglia di moderni pastori giovani imprenditori gestisce il pascolo e produce il tipico formaggio bitto.

Podere Case Lovara a Levanto (SP), nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, racconta il “verde recuperato” di un paesaggio storico agricolo, tipico della Liguria, coltivato con viti e ulivi e con orti su muretti a secco costruiti fin da Medioevo, che nell’ultimo secolo si è spopolato e che, senza cura, oggi si presenta come una selvaggia macchia di verde; con un progetto altamente tecnologico il FAI ha recuperato il paesaggio rurale e riattivato un’azienda agricola tradizionale, che sarà un agriturismo, modello sperimentale di sostenibilità ambientale.

Giardino della Kolymbethra ad Agrigento, nella Valle dei Templi, racconta il “verde mediterraneo” in un tipico “giardino” siciliano di limoni, mandarini e aranci di antiche varietà, e di gelsi, carrubi, fichidindia, mandorli e giganteschi olivi “saraceni”: un prezioso patrimonio genetico della biodiversità agricola tipica del Mediterraneo, che ancora si coltiva secondo le tecniche di tradizione araba, attingendo l’acqua dai condotti ipogei del V secolo a.C. che inquadrano questo giardino tra le rovine dell’antica Akragas.

Saline Conti Vecchi nella laguna di Santa Gilla a Cagliari raccontano il “verde industriale”: la storica produzione del sale, che si alimenta solo di mare, sole e vento (perfettamente ecosostenibile) e che si “coltiva” come in un campo agricolo, si fonde con un ambiente naturale intatto, un’area umida tutelata dove crescono specie rare di acqua dolce e salata, come la salicornia, e vivono oltre 50 specie di uccelli acquatici, tra cui colonie di fenicotteri rosa.

Torre e Casa Campatelli a San Gimignano (SI) racconta il “verde pittoresco” delle dolci colline toscane della Valdelsa, punteggiate di case e cipressi e colorate di campi, che si ammirano dalle finestre dell’ottocentesca casa; il borgo medievale, celebre per le sue torri, vive da sempre in simbiosi e perfetto equilibrio con la campagna circostante, un tempo risorsa fondamentale della sua economia e ancora oggi territorio di produzione di olio e vino d’eccellenza, come la tipica Vernaccia, sebbene anche sfondo da cartolina di un preoccupante turismo “mordi e fuggi”.

Casa Noha a Matera racconta il “verde rupestre” del Parco della Murgia Materana che circonda la città: spettacolari pianori si alternano a profonde rupi o gravine e si aprono in grotte naturali e scavate dall’uomo, che vi si è insediato fin dalla preistoria e che nel tempo le ha trasformate in case o in suggestive chiese, molte delle quali con preziosi affreschi; Matera è un fossile vivente della civiltà rupestre che nasce immersa nella natura per sfruttarne ogni risorsa: una forma di insediamento eco-sostenibile che infatti ha preservato un habitat intatto per flora e fauna locali.

Palazzina Appiani a Milano racconta il “verde civico” del Parco Sempione, che circonda l’Arena di cui la palazzina costituisce la tribuna d’onore, destinata a Napoleone; anche se l’edificio è antecedente al parco, da qui si gode la vista su quel giardino all’inglese, progettato alla fine dell’Ottocento da Emilio Alemagna, che conserva tra sentieri, collinette e corsi d’acqua una varietà di specie arboree – pini, faggi, olmi, cedri del libano, pioppi, bagolari e ippocastani – curate dell’ufficio giardini del Comune di Milano.

Orto sul Colle dell’Infinito a Recanati (MC) racconta il “verde poetico”: la Natura è protagonista nella poesia di Giacomo Leopardi, anche nella celebre lirica L’Infinito, che il poeta ambientò in quest’orto vicino casa e che il FAI oggi racconta in un originale “museo”; l’orto è tornato al suo semplice decoro, con alberi da frutto, ortaggi, viti e rose su pergole, com’era quando a coltivarlo erano le monache del vicino convento; sempre intatto è rimasto l’affaccio sul paesaggio sfumato delle colline marchigiane, che suscitò in Leopardi la ricerca dell’infinito.

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