27 ottobre 2022
“Il bello dell’Italia”, ciclo di incontri organizzati dal “Corriere della Sera” è giunto alla IX edizione.
Il 26 ottobre scorso a Milano, si è tenuto l’incontro “Il Paesaggio culturale. L'arte come cura di un ambiente fragile" (a cura di Alessandro Cannavò e Roberta Scorranese) al quale è stato invitato il Presidente FAI Marco Magnifico per raccontare l’esperienza del FAI riguardo all’ambiente e al paesaggio in oltre 40 anni di storia.
A proposito dei borghi più remoti mi vengono in mente due paesi di cui ci stiamo occupando. Uno è Ulassai, nell’Ogliastra, in Sardegna. Tutti noi di una certa età da ragazzi leggevamo Tex. Su una copertina di Tex una volta comparve una montagna – tutti pensiamo che fosse un rilievo dell’Arizona – manco per sogno, era il “Tacco dell’Ogliastra”. Non c’ero mai stato e quando sono stato chiamato dal sindaco di Ulassai (che è anche il paese di Maria Lai) rimasi stupefatto! Il paesaggio dell’Ogliastra non lo conosce nessuno, è uno dei mille e più tesori dell’Italia.
L’altro luogo che mi è venuto in mente è Troina, un paese stupendo proprio di fronte all’Etna. Una storia pazzesca, perché re Ruggero, per dimostrare agli abitanti di Troina il suo ringraziamento per l’ospitalità, regalò agli abitanti una foresta, oggi ancora intatta, che gli abitanti considerano una proprietà comune, collettiva, sacrosanta. Senonché poi la mafia se ne è appropriata e un sindaco, fantastico, che vive sotto scorta, è riuscito a liberarla. E oggi lo stiamo aiutando a raccontare come il tesoro di questo paese dai tempi di Ruggiero sia proprio la loro foresta.
Questo per dire che non si considera mai come opera d’arte, l’opera collettiva del paesaggio, fatta da milioni di persone inconsapevoli esse stesse di creare nei secoli proprio un’opera d’arte fatta e finita.
Quando si va a Torre e Casa Campatelli, Bene FAI a San Gimignano, tutti si affacciano sul panorama della torre ed esclamano: “Che bello!”. Perché? Non lo sanno, non sanno leggere in quel paesaggio che la bellezza è fatta da un pezzo di coltivo, un pezzo di vigna, un pezzo di oliveto, un pezzo di bosco, un viottolo… ecco, la conoscenza degli elementi che fanno del paesaggio un’opera d’arte è una disciplina totalmente sconosciuta. In questi anni ci siamo resi conto che dobbiamo raccontare al pubblico perché il paesaggio è un’opera d’arte.
Se non esiste un’educazione al paesaggio, come fai a introdurre nel paesaggio qualcosa che sia coerente con la sua storia?
Il paesaggio è qualcosa che è condannato inevitabilmente a mutare, qualsiasi generazione deve intervenire sul paesaggio, non è qualcosa da conservare e immobilizzare, è il luogo dove noi tutti viviamo, ma se non si conosce il valore di quel paesaggio, non si interverrà in modo appropriato.
Anni fa un nostro volontario e sostenitore ci donò un alpeggio in Valtellina. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di rimettere a posto un sentiero per il transito delle vacche da latte, che sono molto pesanti, e se il sentiero è disagevole non arrivano su all’alpeggio. Abbiamo poi restaurato gli alpeggi ripopolandoli con le Brune Alpine, la razza autoctona delle Alpi Orobie. Con il loro latte si produce il formaggio tipico, il bitto.
Da questo castello nel Canavese si domina uno dei più bei paesaggi del mondo: l’anfiteatro morenico di Ivrea, un paesaggio creato dalla discesa dei ghiacciai milioni di anni fa. In quella zona si voleva costruire un centro commerciale di 40 ettari, e una delle battaglie di Giulia Maria Crespi, la fondatrice del FAI, fu proprio contro questa decisione; una lotta lunga dieci anni che alla fine vinse e oggi il Castello di Masino continua a dominare questo pezzo di paesaggio unico al mondo.
Il Bosco di San Francesco è l’altra metà di Assisi. La cittadina umbra è l’ambiente perfetto: il “costruito” e la natura, questo è l’Ambiente che interessa al FAI. Alla fine della passeggiata che dalla basilica porta a valle, si arriva in una meravigliosa conca perfettamente rotonda. Una sera per caso stavo guardando Fabio Fazio in tv e come ospite c’era Pistoletto che raccontava della sua opera Terzo Paradiso. Non lo conoscevo di persona e me lo sono fatto presentare da Anna Zegna, presidente della Fondazione Zegna e consigliere del FAI. Con Pistoletto abbiamo creato una straordinaria opera di land art, un Terzo Paradiso costituito da ulivi: nei due cerchi concentrici, il cerchio della creazione e il cerchio della distruzione, Dio e Uomo si devono incontrare per avere un futuro sostenibile.
Questo giardino era una discarica, un paesaggio morto ai piedi del Tempio di Castore e Polluce. La prima volta che ci andai venni colpito da un olezzo insistente, perché la fognatura di Agrigento vi passava in mezzo. Un tempo questa valle era la piscina della vecchia Akagras, scavata e risistemata nel V secolo a.C. dai prigionieri cartaginesi di Tirone. L’acqua che arrivava in questa valle era portata attraverso un sistema di cunicoli, gli ipogei, tipici del mondo arabo. Oggi il Giardino della Kolymbethra è un vero e proprio paradiso terreste.
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