I Luoghi del Cuore
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VILLA MANIN-ANTONINI

VILLA MANIN-ANTONINI

MORUZZO, UDINE

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VILLA MANIN-ANTONINI
Nel 1620 Hieronimus Santonini, uno dei quattro consorti del feudo d’abitanza di Fagagna, ormai vecchio e ridotto in miseria, cede la sua caratura a Orazio Manin la cui famiglia, originaria della Toscana, abitava ormai a Udine dal XIV secolo. I Manin, oltre alle case in borgo S. Bartolomeo (ora Manin) a Udine, avevano proprietà fondiarie e palazzo padronale sulle pendici occidentali del colle di Moruzzo, nel borgo detto “della Calcina”, sull’asse stradale che unisce Pagnacco a Fagagna lungo i crinali della prima cerchia delle colline moreniche. Orazio Manin, investito del titolo comitale nel 1640, pur avendo acquistato una casa anche nel recinto castellano di Fagagna ormai in rovina, continuò ad abitare nella sua residenza della vicina Moruzzo. Il palazzo passò poi nel XVIII secolo per discendenza in linea femminile agli Antonini. Il palazzo esisteva già prima del 1620, come è denunciato dal suo impianto costruttivo tipico della casa forte del secolo precedente. Lo spessore dei muri in pietra e le due torri ai lati del palazzo, fanno risalire l’origine dell’edificio al 1500 su presistenze più antiche, delle quali restano alcune tracce di fondazioni sul lato sud. Il palazzo dominicale, a due piani, è al centro di una serie di aggregati edilizi funzionali all’attività dell’azienda agricola: folador, cantine, granai, rimesse per carri, stalle, abitazioni per la mano d’opera stagionale. Il recinto murario, in parte merlato, chiude la “braida” col vigneto, il “brollo” ed un parco boscoso, mentre una seconda recinzione più interna comprende il “bearzo” e la corte di disimpegno immediatamente retrostante al palazzo. Tratti delle robuste mura (si ricordi che nel 1500 era ancora viva la memoria delle violenze commesse dalla plebe agli inizi di quel secolo ed ancora evocate erano le scorrerie dei Turchi) restano visibili, anche se in cattivo stato di conservazione, lungo il lato nord della proprietà. Il possente aspetto originale è stato poi ingentilito nel corso del ‘600 e del ‘700 aprendo la facciata sud con l’elegante trifora sopra il “portego” di ingresso e la serie di finestre del piano nobile riquadrate in pietra; ma questi intreventi non hanno cancellato del tutto l’aspetto arcigno della costruzione, chiamata ancor oggi dagli abitanti di Moruzzo il “palaç”. All’intero complesso, delimitato a ovest dalla chiesetta della S. Trinità del XVII secolo, è stata poi conferita una dimensione prospettica con la realizzazione dello stradone che porta dritto al cancello principale le cui colonne laterali sono sormontate dai caratteristici obelischi piramidali di epoca veneta.. Le sale del piano nobile sono affrescate con scene mitologiche e sulla facciata sud facevano bella mostra due meridiane. Recentemente restaurati, nella sala sotto la torre est, si vedono affreschi ottocenteschi di Domenico Paghini, rappresentanti paesaggi che richiamano in stile classicheggiante vedute delle colline circostanti. Il palazzo Manin Antonini, interamente di proprietà privata, si trova in discreto stato di conservazione, mentre il lungo disuso delle parti rustiche ha contribuito al loro grave deterioramento.

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Nel 1620 Hieronimus Santonini, uno dei quattro consorti del feudo d’abitanza di Fagagna, ormai vecchio e ridotto in miseria, cede la sua caratura a Orazio Manin la cui famiglia, originaria della Toscana, abitava ormai a Udine dal XIV secolo. I Manin, oltre alle case in borgo S. Bartolomeo (ora Manin) a Udine, avevano proprietà fondiarie e palazzo padronale sulle pendici occidentali del colle di Moruzzo, nel borgo detto “della Calcina”, sull’asse stradale che unisce Pagnacco a Fagagna lungo i crinali della prima cerchia delle colline moreniche. Orazio Manin, investito del titolo comitale nel 1640, pur avendo acquistato una casa anche nel recinto castellano di Fagagna ormai in rovina, continuò ad abitare nella sua residenza della vicina Moruzzo. Il palazzo passò poi nel XVIII secolo per discendenza in linea femminile agli Antonini. Il palazzo esisteva già prima del 1620, come è denunciato dal suo impianto costruttivo tipico della casa forte del secolo precedente. Lo spessore dei muri in pietra e le due torri ai lati del palazzo, fanno risalire l’origine dell’edificio al 1500 su presistenze più antiche, delle quali restano alcune tracce di fondazioni sul lato sud. Il palazzo dominicale, a due piani, è al centro di una serie di aggregati edilizi funzionali all’attività dell’azienda agricola: folador, cantine, granai, rimesse per carri, stalle, abitazioni per la mano d’opera stagionale. Il recinto murario, in parte merlato, chiude la “braida” col vigneto, il “brollo” ed un parco boscoso, mentre una seconda recinzione più interna comprende il “bearzo” e la corte di disimpegno immediatamente retrostante al palazzo. Tratti delle robuste mura (si ricordi che nel 1500 era ancora viva la memoria delle violenze commesse dalla plebe agli inizi di quel secolo ed ancora evocate erano le scorrerie dei Turchi) restano visibili, anche se in cattivo stato di conservazione, lungo il lato nord della proprietà. Il possente aspetto originale è stato poi ingentilito nel corso del ‘600 e del ‘700 aprendo la facciata sud con l’elegante trifora sopra il “portego” di ingresso e la serie di finestre del piano nobile riquadrate in pietra; ma questi intreventi non hanno cancellato del tutto l’aspetto arcigno della costruzione, chiamata ancor oggi dagli abitanti di Moruzzo il “palaç”. All’intero complesso, delimitato a ovest dalla chiesetta della S. Trinità del XVII secolo, è stata poi conferita una dimensione prospettica con la realizzazione dello stradone che porta dritto al cancello principale le cui colonne laterali sono sormontate dai caratteristici obelischi piramidali di epoca veneta.. Le sale del piano nobile sono affrescate con scene mitologiche e sulla facciata sud facevano bella mostra due meridiane. Recentemente restaurati, nella sala sotto la torre est, si vedono affreschi ottocenteschi di Domenico Paghini, rappresentanti paesaggi che richiamano in stile classicheggiante vedute delle colline circostanti. Il palazzo Manin Antonini, interamente di proprietà privata, si trova in discreto stato di conservazione, mentre il lungo disuso delle parti rustiche ha contribuito al loro grave deterioramento.
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