Wunderkammer Panza di Biumo. A Negozio Olivetti arriva l'arte dei piccoli oggetti

Wunderkammer Panza di Biumo. A Negozio Olivetti arriva l'arte dei piccoli oggetti

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Wunderkammer Panza di Biumo. A Negozio Olivetti arriva l'arte dei piccoli oggetti
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11 giugno 2019

Dal 12 giugno al 27 ottobre 2019 al Negozio Olivetti di Venezia, una mostra curata da Anna Bernardini e Pietro Caccia Dominioni

L’idea è l’inizio di tutto.

Giuseppe Panza di Biumo, 2002

In occasione della 58° Biennale d’arte, il FAI presenta la mostra Wunderkammer Panza di Biumo. L’arte dei piccoli oggetti 1966-1992, dal 12 giugno al 27 ottobre 2019 al Negozio Olivetti in Piazza San Marco a Venezia. Curata da Anna Bernardini e Pietro Caccia Dominioni, raccoglie nello spazio progettato da Carlo Scarpa per Adriano Olivetti nel 1958 oltre 40 curiosi piccoli oggetti: maquettes, strumenti, invenzioni meccaniche, rarità che il mecenate milanese Giuseppe Panza di Biumo (1923-2010) collezionò o ricevette in dono da artisti e amici.

I lavori in mostra – opere, studi, progetti e modelli di installazioni e creazioni artistiche – , interpretabili come i “primi originali” ovvero l’immediata traduzione dell’idea creativa dell’artista, sono eseguiti in un arco di tempo che va dal 1966 al 1992 e appartengono, per la maggior parte, ai principali esponenti del Minimalismo e dell’Arte concettuale: da Walter De Maria a Carl Andre, da Robert Morris a Richard Nonas, da Dan Flavin a Joseph Beuys, fino a Robert Barry, Ian Wilson, Jene Highstein, Piero Fogliati, Douglas Davis e Eric Orr. Alcuni di questi artisti ricorrono nella Collezione Panza che il FAI cura, conserva e valorizza a Villa Panza (VA), che fu casa privata del collezionista e che oggi è un Bene del FAI, aperto al pubblico dal 2000.

Le opere esposte raccontano e rivelano l’attenzione che Giuseppe Panza riservò ad alcuni artisti che produssero oggetti di formati ridotti, un’arte, da lui definita “l’arte dei piccoli oggetti”, che esprime un atteggiamento centrato sull’intimità, il privato e l’individuale e rinnovano l’occasione per indagare gli interessi e le ricerche del collezionista Panza di Biumo, attratto dalle tendenze artistiche volte a porre al centro della pratica il concetto di idea: lo spazio inteso come vuoto attivo, la purezza della luce e della materia, il colore o la sperimentazione costante di nuove tecnologie. L’opera per Panza rappresenta, infatti, l’espressione e la visualizzazione della facoltà più alta dell’uomo, il pensiero, e la geometria è il mezzo utilizzato da quest’arte che riflette la capacità della mente di ordinare la realtà. Sono poi infiniti i modi in cui l’ordine viene realizzato: linee curve, angoli, volumi che si possono usare in un numero illimitato di variazioni dove fantasia e creatività hanno libertà di manifestarsi.

Nell’impossibilità di ricondurre l’eterogeneità di questi quaranta lavori entro tesi o facili definizioni, l’allestimento della mostra intende individuare alcuni nuclei tematici, che suggeriscono un riferimento ai concetti di energia, geometria e scrittura. Un rimando a volte puntuale, a volte più ambiguo per via della natura imprendibile e complessa di molte opere.

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Il primo nucleo tematico è dedicato al versante energia: materia e processo contro impercettibile e vuoto, una raccolta di oggetti che aspirano a catturare o mostrare l’invisibile e l’immateriale. Ne sono un esempio le tre opere di Robert Barry, acquistate nel 1970 da Gian Enzo Sperone a Torino, che risalgono agli anni in cui l’artista abbandona la pittura per indagare il vuoto, il nulla e l’ignoto. Un ignoto, precisava Panza, riferito a entità ideali e primordiali, al di là della realtà fisica e dunque “diverso dall’ignoto che sappiamo di poter conoscere quando le nostre informazioni aumenteranno”.

Il versante geometrico, costituito da quadrati, cubi e altre forme esplora una concezione della scultura intesa come massa e materia, riferita agli artisti americani esponenti del Minimalismo o legati a ricerche analoghe. Alla base della scultura di Carl Andre, artista che Panza incontrò per la prima volta nel 1968 nella galleria di John Weber, ci sono elementi modulari autoreferenziali e una serialità industriale aperta e antiespressiva, che emergono nella minuscola Finely Divided Square Piece (for Marianne), costituita da ben 882 frammenti e dedicata a Marianne Scharn; quest’ultima, a detta di Andre, fu la sola ad avere “la persistenza di visione necessaria a terminare il pezzo”, ricomponendolo in tutte le sue piccole parti. Privilegiò strutture seriali e impersonali anche la ricerca di Robert Morris, il cui multiplo in alluminio Untitled (8 Wedges) è costituito da otto cunei di due forme diverse componibili in vari modi, una miniaturizzazione di una celebre opera di Morris del 1967 in fibra di vetro dipinta di grigio, ora proprietà di The Solomon R. Guggenheim Foundation.

Chiude il trittico il versante concettuale fatto di telegrammi, lettere e libri, un nucleo di opere che vede protagonisti la parola, la scrittura su supporto cartaceo e il libro, elementi fondamentali dell’Arte concettuale e particolarmente amati da chi, come Panza, era profondamente convinto che il pensiero fosse la sostanza dell’arte. Lo dimostra la cartolina serigrafata su legno di Joseph Beuys, un multiplo del 1974, completato e spedito in dono dall’amico Stefano Ughi a Giuseppe Panza.

L’osmosi con gli spazi, le perfette geometrie, la spasmodica attenzione al dettaglio, i gentili giochi di luce di marmo e vetro di Murano dell’architettura scarpiana accolgono in mostra i piccoli oggetti, allestiti sui supporti progettati per esporre le macchine da scrivere Olivetti, come discrete e preziose apparizioni in una “camera delle meraviglie”.

Il progetto di allestimento è a cura di Scandurra Studio Architettura, Milano.
Il catalogo della mostra sarà pubblicato da Skira.

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