10 luglio 2015
È notizia di questi giorni che la BP - British Petroleum dovrà pagare una multa record di 18,7 miliardi di dollari per il disastro ambientale nel Golfo del Messico dell'aprile 2010, causato da un'esplosione a bordo della piattaforma petrolifera Deep Water Horizon.
L'incidente generò una fuoriuscita incontrollata di petrolio dal pozzo per ben 87 giorni. Il risarcimento è ingente, perché gravissimi furono i danni ambientali ed economici: il governo americano ha stimato che furono riversati in mare l'equivalente di 4,9 milioni di barili (pari a 780mila metri cubi di petrolio), una marea nera che interessò le coste di 5 Stati - Louisiana, Texas, Alabama, Mississippi e Florida - con danni senza precedenti agli ecosistemi e all'economia della pesca e del turismo. Da questo drammatico evento emerge che il tema della sicurezza e della tutela ambientale non può essere sottovalutato, dato che l'incidente non è avvenuto in un paese debole dal punto di vista normativo, bensì in violazione del Clean Water Act degli Stati Uniti, la più importante legge a tutela della acque, risalente al 1972 ma più volte rafforzata negli anni successivi.
È quindi comprensibile che in Italia sia grande la preoccupazione rispetto alle crescenti attività di ricerca ed estrazione di petrolio in Adriatico e più in generale sul territorio nazionale. I dati ufficiali del Ministero dello Sviluppo Economico, a fine 2014, censivano 201 concessioni estrattive (di cui 69 in mare) e 117 concessioni di esplorazione (di cui 22 in mare). Altre se ne sono aggiunte nel 2015. La superficie del mar Adriatico interessata da concessioni in essere e concessioni in attesa di sblocco è pari a oltre il 40% - senza considerare gli interventi degli altri stati rivieraschi. Oltre a considerare questi dati, occorre riflettere sulle caratteristiche del mar Adriatico: si tratta di un bacino chiuso dallo stretto di Otranto, 11 volte e mezzo più piccolo del Golfo del Messico. È un tratto di mare estremamente trafficato, a causa della navigazione per trasporto merci e passeggeri e della pesca, ed è inoltre interessato da una delle quattro rotte prioritarie individuate dal Consiglio Europeo per il progetto delle “Autostrade del Mare”.
Per protestare contro questa situazione oltre 60.000 cittadini nel maggio scorso hanno manifestato a Lanciano, molti sindaci si sono già mobilitati e sette Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro una norma del decreto-legge “Sblocca Italia” che le estromette nel percorso autorizzativo sulle concessioni in mare. Questo decreto consente una deregulation del settore della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi. Nel testo si legge che queste attività sono di ‘interesse strategico e di pubblica utilità, urgenti e indifferibili' ed è presente una norma che permette l'accelerazione delle procedure, attraverso il rilascio di una concessione unica entro 180 giorni, e che limita il ruolo decisionale delle Regioni. In Italia le royalty sono tra le più basse al mondo, con addirittura una quota iniziale di estrazione esentasse, e questo rende particolarmente attraenti gli investimenti da parte di compagnie straniere. A questo va aggiunto che il Governo Italiano sta recependo in modo molto più debole la direttiva europea off-shore, formulata in seguito al disastro nel Golfo del Messico, in termini di sicurezza e di controllo.
Il gioco vale la candela? Il rischio di incidenti che aumenta in un mare chiuso, l'inquinamento ambientale che cresce, un'espansione dell'attività estrattiva che entra in conflitto con importanti settori della nostra economia, come il turismo e la pesca, ma su tutto il petrolio e il gas da estrarre in quantitativi non strategici. Fatti i conti, se prendiamo in considerazione solo le riserve accertate, la disponibilità di gas e petrolio in Italia soddisferebbe solo il fabbisogno nazionale di circa un anno. Considerando anche le riserve probabili e possibili, che hanno un valore di presenza solo statistico, lo scenario non cambierebbe di molto e si arriverebbe a coprire tre anni. Dati ben diversi da quelli dell'economia norvegese, dove il petrolio rappresenta il 25% del PIL e costituisce una risorsa strategica per il paese.
È quindi sostenibile questa situazione? Il FAI pensa che sia corretto chiederselo. Oggi l'unico documento di riferimento è la Strategia Energetica Nazionale, un decreto interministeriale che pone come obiettivo per il 2020 la crescita del 46% e del 148% nell'estrazione rispettivamente di gas e petrolio in confronto al 2011. Per la Fondazione è fondamentale che non ci si limiti alla Valutazione di Impatto Ambientale sui singoli progetti di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi, ma che si elabori un documento di programma, da sottoporre al Parlamento, che intervenga in un'ottica complessiva, e che consenta una vera analisi costi/benefici degli obiettivi e degli interventi. Questo per evitare che si verifichino nuovamente casi come la concessione a ridosso del Parco del Delta del Po in Emilia Romagna, da poco nominato Riserva della Biosfera UNESCO, o di fronte alla verde costa teatina abruzzese.
nei Beni FAI tutto l'anno
Gratis