04 dicembre 2015
Grazie ad uno scavo durato più di trent'anni, il Presidente del FAI Andrea Carandini ricostruisce il santuario di Vesta e parte del circondario, contribuendo alla comprensione del centro sacrale, istituzionale e culturale della città-stato.
Un'opera che ha permesso quindi di capire e analizzare il lucus di Vesta, i luoghi di culto dei Lari, di Marte e Ops, di Giove Statore, e conoscere le capanne e le case delle vestali, dei re e dei massimi sacerdoti della città-stato. Nel suo ultimo lavoro l'archeologo di fama mondiale parla proprio di questo cuore urbano e della scoperte ad esso collegate che hanno così fortemente segnato Roma, così come si legge anche nelle parole di Marco Carminati, storico giornalista RAI, che ha recensito il testo di Carandini sul Sole 24 Ore.
Il nuovo libro di Andrea Carandini (celebre archeologo oggi presidente del Fai) inizia in modo singolare con una sorta di dichiarazione d`amore per il fuoco. Il fuoco di cui si parla è quello domestico, quello che sin da bambino Carandini ha imparato ad attivare nel camino della grande casa di campagna a Torre in Pietra, con la catasta preparata a regola d`arte: carta sotto, pigna al centro, legnetti, legni medi e legni grandi. Un fuoco e antico e profumato, che ricorda sì l`instabilità della vita (il fuoco nasce, cresce, divampa, declina, cova e si spegne), ma il cui ardore e sfavillio suscitano anche un intimo godimento, coinvolgendo i sensi, la mente e l`immaginazione. È bello allora immaginare che, proprio davanti all`elegante e ben funzionante camino di Torre in Pietra (che, detto per inciso, fu progettato da Ferdinando Fuga nel 1719), Andrea Carandini abbia fatto volare la mente verso un altro fuoco, il fuoco più celebre e sacro della Roma antica, quello che le sacerdotesse di Vesta avevano tenuto acceso per 1.150 anni nella loro casa-santuario alle pendici settentrionali del Palatino. Come, quando e da chi venne introdotto questo culto del fuoco a Roma? Dove si praticava esattamente? Chi erano e che cosa facevano le Vestali, ovvero le sacerdotesse preposte a tale culto? Il libro di Carandini risponde - in forma di affascinante racconto - a tutte queste domande. Ma lo fa partendo da un punto divi sta molto particolare.
Il nostro archeologo, infatti, non si è limitato allo spoglio totale della vasta letteratura in materia (indicata al termine del volume) ma ha potuto verificare direttamente "sul campo" l`attendibilità di miti e racconti attorno al fuoco di Vesta. È cosa nota che Andrea Carandini, oltre a "infilare" con piacere le mani nel camino di Torre in Pietra, abbia "infilato" per decenni le sue mani e quelle di schiere di giovani allievi e collaboratori nel sottosuolo di Roma antica alla ricerca di evidenze oggettive in grado di verificare, e dunque di confermare o smentire, anche le più consolidate tradizioni storiche. Il libro ll fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea nasce dunque dall`investigazione diretta e in profondità del sito del santuario di Vesta, posto tra la Via Sacra e il Palatino, un`investigazione compiuta attraverso una lunga campagna di scavo durata dal 1985 al 2015. La capacità di lettura delle varie stratificazioni del sottosuolo ha permesso a Carandini e alla sua squadra non solo di delimitare bene la radura (lucus) e il bosco (nemus) di Vesta - ovvero lo spazio del santuario nel suo insieme - ma anche di ricostruire la sua estensione e configurazione nelle varie epoche storiche, dal 750 avanti Cristo al 400 dopo Cristo.
Nelle città greche la dea del focolare era Hestia. A Roma la dea del fuoco (più che del focolare) era Vesta. Esisteva anche un altro dio romano connesso al fuoco, cioè Vulcano, ma si trattava di un fuoco legato alla guerra. Vesta era venerata nella sua dimora (aedes), che sin dall`origine era un edificio rotondo. E davanti all'aedes c`era la casa delle sacerdotesse, che in principio era una capanna di forma quadrangolare e poi diverrà un sontuoso palazzo. Le Vestali erano sacerdotesse di Stato che non vivevano in clausura ma avevano il ferreo obbligo di mantenersi caste nello spirito e nel corpo. Se avessero ceduto a desideri sessuali sarebbero incappate in terribili conseguenze: le avrebbero, senza pietà, sepolte vive. Le sei sacerdotesse del culto venivano identificate sin da bambine e strappate agli affetti delle loro famiglie. Prestavano "servizio" per circa trent`anni, periodo in cui erano obbligate a mantenersi illibate. Poi potevano sposarsi. In cambio di questo "sacrificio", veniva loro riconosciuto un rango elevatissimo ed erano le sole donne a Roma che potevano vantare una piena capacità giuridica. Loro compito precipuo era di tenere vivo il sacro fuoco di Vesta e di spegnerlo e riaccenderlo il primo giorno di marzo. Cosa che fecero, abbiamo visto, per ben 1.15o anni.
A introdurre il culto del fuoco sacro - sottolinea Carandini - fu con ogni probabilità Romolo attorno al 750 avanti Cristo. Gli scavi hanno infatti confermato la presenza dei muri di cinta del Santuario risalenti a quell`epoca, mentre per quanto riguarda l`Aedes Vestae, le riedificazioni tardo repubblicane e soprattutto imperiali (vale a dire ciò che vediamo noi oggi affiorare) hanno purtroppo distrutto le stratificazioni sottostanti, consentendo di "scendere" nella ricognizione solo fino al IV secolo avanti Cristo. Due secoli dopo la fondazione, attorno al sacro fuoco di Vesta si elaborò un nuovo mito fondativo: questo fuoco sarebbe stato portato nel Lazio da Enea che lo avrebbe salvato dalla città di Troia dopo la sua totale distruzione. Capiamo bene perché le Vestali prestassero tanta attenzione a che un fuoco così illustre non andasse mai estinto.
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