Referendum Trivelle: il perché del nostro SI

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Referendum Trivelle: il perché del nostro SI
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25 febbraio 2016

La consultazione è stata voluta da 10 Regioni per cancellare la norma che oggi consente il rinnovo delle concessioni petrolifere all'interno delle 12 miglia dalla costa, per tutta la durata di vita utile del giacimento. Il FAI invita tutti ad andare a votare e a mettere SI sulla scheda, in modo che le concessioni vigenti non siano più rinnovate alla loro scadenza.

Il 17 aprile 2016 si svolgerà il referendum popolare sulla ricerca petrolifera nel Mar Adriatico.La consultazione è stata voluta da 10 Regioni per cancellare la norma che oggi consente il rinnovo delle concessioni petrolifere all'interno delle 12 miglia dalla costa, per tutta la durata di vita utile del giacimento. Il FAI invita tutti ad andare a votare e a mettere SI sulla scheda, in modo che le concessioni vigenti non siano più rinnovate alla loro scadenza.

Ha fatto molto discutere la scelta della data, essenzialmente per due motivi. Il primo è di carattere economico: si poteva accorpare il referendum alle elezioni amministrative di giugno risparmiando tra 350 e 400 milioni di euro, l'equivalente “bruciato” in un giorno di tutte le royalties derivanti dall'esercizio dei pozzi di petrolio e gas raccolte nel 2014, che sono pari a 402 milioni. Il secondo motivo è invece connesso ai tempi tecnici. Il Governo decidendo a metà febbraio per il 17 aprile, ha dato ai cittadini solo due mesi di tempo per conoscere la data della consultazione e per approfondire i temi in discussione.

Cosa accade se vincono i SÍ al referendum?

Con il SÍ vincente, la quota di gas e petrolio che verrebbe bloccata sarebbe solo quella riferita alle attività all'interno delle 12 miglia e non avrebbe comunque un effetto immediato, ma solo alla scadenza delle concessioni vigenti. Non sono interessati dal referendum tutti i pozzi fuori dalla fascia di 12 miglia dalla costa.

Le regole che mancano

Il FAI intende utilizzare il tema del referendum per una riflessione più generale sulla questione dell'estrazione di petrolio in mare. Abbiamo fin da subito fatto presente che l'Adriatico è un ecosistema delicato, che richiede attenzione. Le concessioni vengono invece rilasciate senza un sistema di regole che garantisca paesaggio e ambiente e senza un'adeguata pianificazione degli interventi.

Il nodo non è quindi lo stop generalizzato alle trivelle, ma la verifica dei criteri con cui si autorizzano le società a perforare i fondali. A questo proposito, due sono le richieste del FAI:

  • la revisione della Strategia Energetica Nazionale, un decreto interministeriale del marzo 2013 che pone – rispetto al 2011 - un obbiettivo al 2020 di + 46% e +148% (!) rispettivamente nell'estrazione di gas e petrolio. Un obiettivo oggi che il mercato stesso ci obbliga a rivedere al ribasso, con il petrolio ai minimi storici. Una revisione da sottoporre al Parlamento, che consenta in questo momento di crisi economica un'effettiva analisi di costi e benefici di questi obbiettivi e degli interventi connessi.
  • la definizione di un Piano delle Regole per gli interventi in Adriatico. Gli impatti ambientali oggi non sono correttamente valutabili: le concessioni che ottengono il decreto VIA positivo dal Ministero dell'Ambiente arrivano una ad una, senza mai poter, o voler, valutare il loro impatto complessivo.

I primi risultati ottenuti

La protesta istituzionale di 10 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) sulle trivellazioni in mare si è concretizzata con 6 quesiti referendari. Alcuni importanti risultati si sono già raggiunti grazie anche al Governo, intervenuto per evitare il Referendum (e 5 su 6 quesiti depositati sono poi stati invalidati):

  • è stato introdotto il divieto di ricerca e sfruttamento di giacimenti all'interno delle 12 miglia dalla costa, fatte salve le concessioni autorizzate al 31 dicembre 2015. La possibilità di rinnovo di queste ultime costituisce l'oggetto del referendum del 17 aprile;
  • è stata cancellata la dichiarazione di “strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere”, con cui le Regioni venivano estromesse dai processi decisionali;
  • è stata garantita la partecipazione degli enti territoriali ai procedimenti per il rilascio dei titoli minerari.

...il gioco vale la candela?

Passi avanti importanti, questi del Governo, ma resta un dubbio di fondo: vale la pena intensificare lo sfruttamento minerario dell'Adriatico, come è stato chiaramente messo in atto nel 2015 (ad esempio sono state rilasciate 11 concessioni in un blocco solo al largo della Puglia, portando il totale delle concessioni di ricerca in mare a 20 - 48 invece le domande di ricerche future - mentre quelle di estrazione sono 64 - 9 le domande)?

Ecco sei motivi che ci fanno supporre di no:

1. Prezzo del petrolio crollato ai minimi storici

La Croazia, nostro vicino con un ambizioso piano di sfruttamento petrolifero lanciato l'anno scorso, ha già fatto marcia indietro per mancanza di società candidate a concorrere per le concessioni; la tanto discussa concessione esplorativa al largo delle Tremiti è saltata perché si è ritirata la concessionaria, adducendo mutate condizioni finanziarie. La verità è che con il prezzo del petrolio crollato in pochi anni da oltre 110 dollari a sotto i 30/40 dollari al barile, è poco conveniente estrarlo dai nostri mari.

2. Un'offerta che supera la domanda

Il mercato è inondato di petrolio, con un'offerta che supera la domanda e con la nostra produzione assolutamente marginale al punto che, calcolate le riserve certe e probabili nei nostri mari, il petrolio che possiamo estrarre negli anni futuri ci basterebbe per circa dieci settimane dei nostri consumi annuali.

Rispetto all'estrazione del gas nelle nostre acque territoriali, va ricordato che la quota estratta è decisamente marginale rispetto ai nostri consumi totali ed è comunque privatizzata, viene cioè estratta e venduta sul mercato a fronte del versamento delle royalties. Non è questo meccanismo che si critica ovviamente, quanto piuttosto chi lascia pensare che essendo un gas estratto nelle nostre acque territoriali sia gratuitamente a disposizione dello Stato.

3. Rischio di danni enormi

L'Adriatico è inoltre un bacino chiuso dallo stretto di Otranto ed è 11 volte e mezzo più piccolo del Golfo del Messico, dove il tristemente famoso incidente della BP ha riversato in mare l'equivalente di 4,9 milioni di barili, una marea nera che è arrivata fino alle coste di 5 Stati rivieraschi (Louisiana, Texas, Alabama, Mississipi e Florida), con danni senza precedenti agli ecosistemi e all'economia della pesca e del turismo.

4. Equilibrio già delicato

È, inoltre, un tratto di mare estremamente trafficato, a causa della navigazione commerciale, della pesca e del trasporto passeggeri; è interessato da una delle quattro rotte prioritarie individuate dal Consiglio Europeo per il progetto delle autostrade del Mare.

5. Mancanza di garanzie

La questione della sicurezza non può essere sottovalutata, ci sono in gioco importanti economie del Paese, oltre che delicati ecosistemi marini. Eppure non sempre le società che ottengono le concessioni sono sufficientemente solide sul piano finanziario per garantire le migliori pratiche di esplorazione e produzione, oltre che per poter coprire i danni di eventuali incidenti.

6. Ininfluenza sul mondo del lavoro

Si tratta infine di un settore a bassa intensità di lavoro e ad alta intensità di capitale, richiede un numero abbastanza basso di lavoratori specializzati ed è quindi discutibile presentare l'aumento delle trivellazioni come un valore aggiunto per il mondo del lavoro.

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