23 dicembre 2015
Caro direttore, sulla storia infinita di Pompei bisogna intenderci. Va benissimo essere messi a conoscenza, come è accaduto in questi giorni, sullo stato d'avanzamento dei lavori del Grande Progetto (come racconta sul Giornale dell'Arte 359/2015 il soprintendente Massimo Osanna).
È importante sapere che l'intervento è passato dagli originali 105 milioni a 159,8 per effetto di economie.
Fa piacere sentir dire che nel frattempo i cantieri terminati sono 20 e 29 sono in corso di realizzazione.
Ed è anche importante che si sia messo a punto il sistema di sorveglianza di tutta l'area per 3,8 milioni di euro. Benissimo anche venire a conoscenza che ci sono dei nuovi assunti come archeologi, architetti, ingegneri, amministrativi. Una bella differenza da quando c'era un solo archeologo per tutta l'area.
Ottimo anche il fatto che si riesca a non perdere i fondi stanziati dalla Comunità europea, perché pare che verrà concessa una proroga di due anni rispetto alla scadenza del prossimo 31 dicembre.
Dunque, tutto bene? Problema risolto? Per capire come stanno davvero le cose van tenuti sott'occhio un paio di numeri. Pompei è un'area archeologica di 66 ettari, 49 dei quali sono scavati e 30 aperti al pubblico. Gli edifici allo stato di rudere valgono poco più di 200.000 metri quadrati, mentre quelli coperti ne occupano 88.000. Le unità edilizie, le domus, sono 1.500, e sviluppano 242.000 mq di superfici murarie. I dipinti si estendono per 17.00o mq e i rivestimenti pavimentali assommano a 12.000 mq. Son tutti numeri importanti perché danno la misura dell'impegno che si sta affrontando. Ma ai fini del progetto, tra tutti questi numeri, uno è più importante degli altri. È quello delle domus: 1.500. 1.500 edifici che si trovano in uno stato di conservazione più o meno precario. Quasi tutti hanno una salute cagionevole (Carta del Rischio di Pompei 2010).
Apparentemente, la scola armatorarum che il 6 novembre 2010 crollò senza dare alcun segno premonitore, non era in condizioni peggiori di altre. Eppure, all'improvviso, è venuta giù anche a causa di condizioni atmosferiche particolarmente sfavorevoli, che han fatto da innesco al collasso di una struttura già di per sé vulnerabile. Quindi, la conoscenza dello stato di conservazione di ciascuna domus è essenziale e avrebbe dovuto essere la parte propedeutica di tutto il progetto. Perché solo così è possibile definire una scala di priorità e decidere il da farsi, tra interventi meno invasivi e costosi, come son quelli di manutenzione ordinaria, ed altri più impegnativi come il consolidamento strutturale. Si è fatto il contrario.
Si è concentrata l'attenzione su una serie d'interventi sicuramente meritevoli d'essere realizzati, ma non si può dire se siano quelli più urgenti, visto che non è dato sapere in quali condizioni è il resto, perché il piano della conoscenza è stato rimandato a dopo. Stando ai dati pubblicati sul sito Pompeii sites, un po' diversi da quelli riportati nell' intervista al “Giornale dell'Arte” del soprintendente, gli interventi finora sono stati 14, quelli in corso 28. Se nel 2017 si arrivasse anche a farne 70, sarebbe solo meno del 5% del totale delle domus.
Niente di male, se poi rimanesse la possibilità di intervenire su tutta l'area. Ma forse non andrà così. E allora bisogna dire come si farà a garantire che ognuno di questi edifici (talvolta dei veri e propri gioielli) abbia una qualche forma di attenzione e un minimo di cura. Così come bisogna prevedere fin da adesso la manutenzione degli interventi appena realizzati, perché si sa che non ci sono opere definitive, valide una volta per tutte. Per cui, raggiunta una soglia di stabilità accettabile va garantito che l'intervento compiuto mantenga il più possibile quelle caratteristiche nel tempo, evitando di doverci mettere mano di nuovo, con altre opere costose e lesive. È stato dimostrato che la manutenzione vale una frazione modestissima dell'intervento di restauro, circa il 2% l'anno.
Quindi bisogna organizzare un piano per spendere sempre meno garantendo il massimo. Insomma, per Pompei bisogna fare di più e meglio. Non deve essere solo una palestra di interventi più o meno importanti o l'occasione per un esercizio di comunicazione. Deve essere un progetto che dà il segno di come si deve fare qui e altrove. Deve diventare la metafora di come si può e sì deve operare in condizioni del genere, per ottenere il meglio al minor costo. E il metodo non è meno importante dei lavori che si realizzano, perché passa di qui la possibilità di far sì che questi beni diventino un'opportunità e un progetto per la comunità, piuttosto che un esercizio di sopportazione. Com'è adesso.
18 dicembre 2015
L'intervento «Pompei, la strada è giusta, ma troppe domus sono a rischio» di Roberto Cecchi, pubblicato sul Corriere della Sera del 18 dicembre, merita alcune precisazioni sul valore specifico delle attività messe in campo.
Il Grande Progetto Pompei proposto dal ministero e approvato dal Consiglio Superiore dei beni culturali nel 2011 ha interessato più piani di azione. In primo luogo si è intervenuto sulle strutture archeologiche con restauri, messa in sicurezza delle strutture e interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. A questo si sono affiancati gli interventi per la conoscenza e il monitoraggio del sito, la comunicazione, la fruizione e la sicurezza. Tutta l'area archeologica è stata sottoposta a un globale intervento di messa in sicurezza: i progetti in corso interessano per la prima volta la città antica nella sua interezza affrontando le criticità di base.
Oltre all'intervento di manutenzione straordinaria, priorità assoluta del Grande Progetto, sono stati scelti 15 edifici da sottoporre a interventi di restauro strutturale architettonico e degli apparati decorativi (mosaici e pavimenti). La messa in sicurezza rappresenta un passaggio fondamentale per la salvaguardia del sito e consentirà di coprire il 100% dell'area archeologica rispetto a quel 30% raggiunto negli anni passati.
Mettere in sicurezza significa, anzitutto, assicurare l'incolumità della struttura, salvaguardandola dal degrado e da eventuali perdite di materiale. L'attività prevede tra i vari interventi, il ripristino delle discontinuità murarie, il rifacimento delle creste, la messa in opera di presidi (puntelli, cerchiatura delle colonne ecc.).
È la base dalla quale partire per una manutenzione programmata dell'area archeologica, che regolarmente già affianca i lavori in corso.
Il Piano della conoscenza inoltre è praticamente concluso: per la prima volta si dispone di un quadro reale e complessivo dello stato di conservazione di ciascun edificio, uno strumento straordinario per il futuro monitoraggio sistematico e continuo del sito. Pompei ha finalmente un archivio informatizzato che contiene tutte le informazioni necessarie di ogni muro o elemento architettonico della città. Infatti il piano è strettamente legato a un nuovo Sistema informativo, un Web-GIS, nel quale confluiscono non solo tutti i dati relativi al monitoraggio e alla conservazione ma anche dati scientifici e di archivio, del pregresso e del futuro.
Finora i monumenti di Pompei disponevano di un rilievo complessivo in una scala 1:500. Attraverso il Piano della Conoscenza si è realizzato un rilievo con scala 1 :50, che consente di mappare con una precisione 10 volte più alta tutti gli elementi di degrado quali lacune, lesioni, eccetera. Rendendo quantificabile il dato in termini di collocazione geografica ed estensione metrica.
Tutto ciò dimostra, a nostro parere, che per Pompei si sta "facendo di più e meglio" e soprattutto con "un metodo", come è stato riconosciuto sia dall'Unione europea sia dall'Unesco.
21 dicembre 2015
Come ho già avuto modo di spiegato nell'articolo del Corriere, in realtà, le cose non stanno proprio così. Riassumo: il progetto prevede di realizzare 39 interventi (poi portati a 52) tra quelli sulle domus e altre opere di difesa. Quindi, non è proprio "tutto" quello di cui si parla, perché le domus che si trovano in uno stato di conservazione tra il claudicante e il pessimo sono 1500. Praticamente, stando ad una rilevazione del 2010, tutte quelle dell'intera area. Dunque, tra questo e dire che tutto va bene madama la marchesa ce ne passa.
In realtà, si sta affrontando neanche il 5% del totale delle 1500 domus (il dato non è discutibile) e quindi ci vorrà molto altro tempo e molti altri danari per concludere il progetto di messa in sicurezza di tutta l'area. Ci vuole una continuità d'azione che duri anni e non mesi. Bisogna dirlo e non dare la sensazione che sia tutto risolto. Il primo incidente che dovesse capitare sarebbe uno smacco insuperabile, una coltellata al cuore del Paese. Nessuno capirebbe. E sarebbe un cattivo servizio, pessimo, per i beni culturali. Per la credibilità di tutti quanti noi, perché si direbbe che non siamo all'altezza.
Detto questo, nessuno nega che su Pompei si stia lavorando come forse non si faceva da decenni, con uno spirito che non ho difficoltà a riconoscere che può essere assimilato a quello delle origini, quando l'area archeologica venne alla luce. Nessuno nega che ci sia un impegno corale e inconsueto di tutti per risalire la china, dopo la brutta figura del 2010 quando siamo finiti sulle cronache del ridicolo di tutto il mondo, assimilando l'incapacità di salvaguardare il patrimonio culturale a quella di governare il Paese. Che poi, a ben guardare, qualcosa ci potevamo evitare, visto che con la schola armatorarum non erano caduti i reperti archeologici, ma era venuto giù il "restauro" in calcestruzzo armato del 1946. E tuttavia, pur di farsi del male, anche questo non è mai stato detto.
Per cui, qui non si mette in dubbio né la buona volontà, né l'impegno, né la serietà del gruppo che sta lavorando. Ma bisogna evitare di dare alibi a destra e a manca, alla politica in particolare, dicendo che tutto è a posto. La questione della salvaguardia e della valorizzazione dei beni culturali è una cosa seria e impegnativa che richiede un impegno costante. Ci vuole una politica pubblica che non sia una toccata e fuga. E per far intendere questo, non c'è che applicare il metodo più adeguato che si fonda, in sequenza, su 1) conoscenza; 2) valutazione della sicurezza; 3) ispezioni periodiche e manutenzione e 4) restauro.
A Pompei passa il messaggio contrario. Prima si fanno gli interventi e poi viene il Piano della Conoscenza che, come è stato scritto, "è praticamente concluso". Come a dire che, alla fin fine, la questione di metodo è una sorta di foglia di fico e che se c'è o non c'è, fa lo stesso. Mentre è proprio da qui, che è possibile far intendere a chi non intende come, quanto e perché della necessità di strumenti e risorse per il patrimonio culturale. Bisogna far capire che la tutela di questo patrimonio non è una questione di sponsor e basta. Deve essere un impegno di tutto il Paese in cui ciascuno dà quello che può. E non va affrontato una volta ogni tanto, ma giorno per giorno. Come finora non è mai stato.
L'articolo Un "ponte" salverà Pompei (n. 359, dic 2015) una sottolineatura la merita. La merita perché su argomenti come questo bisogna capire bene se stiamo andando davvero nella direzione giusta. Non si tratta di cavillare e non è un questione di particolari. Stando all'intervista sarebbe tutto in ordine: tempi, risorse finanziarie, impegni, inaugurazioni. Una sorta di Eden rispetto a quello che solo pochi mesi fa era un inferno. Un'inversione di tendenza di centottanta gradi che merita di essere capita.
nei Beni FAI tutto l'anno
Gratis