Musei: i magnifici venti

Condividi
Musei: i magnifici venti
In primo piano

20 agosto 2015

Perché tanto sdegno per l'italianità offesa? Invece proprio la scelta di 7 stranieri, alla direzione dei principali musei d'Italia riverbera un grande prestigio internazionale sulle 13 nomine nazionali. ella missione del FAI c'è l'idea guida di mettere i beni culturali in rapporto con le persone. Una volta si chiamava fruizione. Adesso valorizzazione.

Tutela e valorizzazione sono le due facce dello stesso principio. Su questo tema argomenta Andrea Carandini, presidente del FAI, intervenendo sul Corriere della Sera del 19 agosto nel dibattito sulle nomine dei nuovi direttori dei 20 musei più importanti d'Italia, secondo le norme della nuova legge voluta dal ministro dei Beni culturali: «Pur non condividendone tutti i punti, sono stato da subito favorevole alla riforma voluta dal ministro Franceschini. Si ricorda sempre l'articolo 9 della Costituzione che però ha due commi. Il secondo, quello più citato, parla di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico. Ma il primo cita una nazione che deve promuovere lo sviluppo della cultura. Su questo ci sono stati ritardi. Che mi pare la riforma provi a colmare. Anche in merito alle nomine, su alcune singole scelte si può discutere, ma il criterio è ottimo: uomini e donne, italiani e stranieri, con formazioni e curriculum diversi. Viviamo in un mondo nuovo. La tutela resta prioritaria, ma occorre saper mettere i beni in relazione con le persone».

Il punto di resistenza della polemica è la scelta di sette direttori stranieri. Rispondendo in presa diretta su Twitter, Dario Franceschini è stato lapidario: «Abbiamo nominato venti direttori europei, nessuno straniero».E dire che per la commissione internazionale, (ci sono Nicolas Penny, già direttore della National Gallery, Lorenzo Casini esperto di legislazione culturale, Claudia Ferrazzi, direttore generale di Villa Medici, già al Louvre, l'archeologo Luca Giuliani, Rettore del Wissenschaftskolleg di Berlino) guidata da Paolo Baratta nella scelta delle terne di candidati da sottoporre al ministro e al direttore generale, il contesto internazionale era stato il principio fondante. Baratta, attualmente presidente della Biennale di Venezia, già ministro più volte, è vicepresidente del FAI. Gli abbiamo chiesto una riflessione approfondita sui temi e sui problemi della rivoluzione in corso nei Beni culturali, in una prospettiva che vada al di là di questa polemica di fine estate.

Non per voler commentare i commenti, ma ancora una volta opinionisti e intellettuali si dividono in “guelfi” e ghibellini”: la solita sindrome antropologica del carattere nazionale? Questa volta con una stranezza in più: come è potuto succedere che intellettuali normalmente agli antipodi si trovino d'accordo contro le scelte del MiBact?

Lascerei ad altri, commentare i commenti. Vero è che il cambiamento introdotto con la “Riforma Franceschini” è importante e che c'è di mezzo la conflittualità politica. Poi ci sono i singoli commentatori, alcuni hanno avanzato preoccupazioni, bilanciando con esse giudizi non negativi del tutto, altri invece è difficile inquadrarli perché comunicano se stessi come polemici di professione. Complessivamente però mi pare, data la grande novità, un' accoglienza che rivela un positivo interesse. Dalla Spagna è persino giunto il grido “e quando anche da noi?”.

Perché allora tanto sdegno per l'italianità offesa, tante precisazioni, mille distinguo?

Che su materie così complesse e delicate vi siano opinioni diverse mi pare fisiologico. Patologico è l'uso sistematico di un linguaggio che mira solo a screditare, e che ricorre prevalentemente all'insinuazione al sospetto all'insulto. E' l'Italietta, cui tutto sommato piace restare sugli spalti per potersi esibire all'indirizzo dell'arena con il pollice verso.

Cambiamo verso, prospettiva, punto di vista: la scelta di 7 stranieri valorizza i 13 italiani, valutati e promossi sul mercato della cultura internazionale. Ha avuto buon gioco il ministro Dario Franceschini a rispondere citando la «recentissima nomina di Gabriele Finaldi che presto di insedierà alla direzione della National Gallery»?

Stranieri e non. Vorrei innanzitutto precisare che la riforma, che rende i musei dello stato autonomi (pur nell'ambito dell'amministrazione statale) ha riguardato bensì i 20 musei di cui al bando, ma il bando è stato preceduto dalla costituzione dei 17 nuovi poli museali nei quali sono stati raccolti tutti gli altri musei, siti artistici e archeologici, dello stato, alcuni dei quali di notevole dimensione, tre sono stati collegati a grandi musei ma 14 sono stati attribuiti con procedura ordinaria a dirigenti del MiBact ad inizio primavera. La riforma dei musei ha dunque creato 34 nuovi direttori. Il numero degli ”stranieri“ va perciò raffrontato con questo totale. E poi mi pare, oltre che provinciale, sia davvero un po' equivoca questa insistenza sugli stranieri. Dico io, ma il bando era noto da mesi, era un bando esplicitamente internazionale. E si scopre oggi che un bando internazionale possa portare anche stranieri? Che bella sorpresa! Ma allora si aspetta l'esito per criticare un'iniziativa partita e nota da tempo. Ma che opinionisti accorti!!! Molti aspettavano al varco pensando (altri sperando) che si sarebbero selezionati brutali managers tratti da generiche attività per una prospettiva commerciale dei musei . Hanno tutt'e due motivo di essere delusi.

Il fatto che quattro degli italiani provengono da esperienze internazionali e uno degli stranieri venga da una esperienza tutta italiana, non è forse una conferma della bontà del nuovo metodo, anzi una rivoluzione per l'Italia della cultura?

Importante è certamente il “ritorno” di italiani che hanno sviluppato la loro carriera in musei di altri paesi. I musei di altri paesi sono infatti “strutturati” dispongono cioè di strutture di personale e soprattutto di quadri intermedi, per esempio si articolano in curatori delle varie collezioni, accompagnati da assistenti curatori, curatori di mostre e del relativo fund raising. Insomma sono istituzioni culturali capaci di produrre iniziative autonome e soprattutto di offrire variegate possibilità di lavoro e di carriera a storici dell'arte ed esperti. Da noi il museo statale non è un'entità distinguibile dalla soprintendenza di cui è un semplice ramo e anche i grandi poli realizzati nel recente passato non hanno cambiato granchè visto che ai responsabili restavano in capo responsabilità diverse tipiche delle soprintendenze. Da noi i musei sono vuoti di strutture. In alcuni casi vi è solo il direttore (funzionario della soprintendenza) e una schiera di custodi, sovente alle prese con problemi di abbigliamento.

Qual è quindi il senso autentico della Riforma?

La parola chiave della riforma è “autonomia scientifico-culturale” dell'istituto museo. Per essere realizzata, richiede una struttura e un sistema di responsabilità chiaro, dunque una riforma dell'ordinamento, rispetto alla situazione odierna che non consente neppure di definire sul piano organizzativo, economico e funzionale la gestione del museo. Ci vorranno energie nuove appunto responsabilità (sono in arrivo e i consiglieri di amministrazione e i comitati scientifici che dovranno aiutare la riforma coadiuvando il direttore). Ci vorranno risorse, pubbliche naturalmente, ma anche di altra origine. Per esperienza so che l'autonomia scientifico-culturale non è in antagonismo con la popolarità. Anzi, essa alimenta l'orgoglio della comunità e finisce con l'attrarre visitatori richiamati non solo dai beni del passato ma anche dalla qualità del presente impersonata dalla vitalità dell'istituzione che quei beni custodisce, alimentando intorno ad essi attività degne del rispetto del mondo.

... e in cosa consiste la sua Rivoluzione?

Stiamo sul concreto: tornando alla selezione, e alla scelta dei direttori vediamola così: a)si scoprono molti italiani che operano fuori dell'amministrazione statale e cresciuti nei musei minori anche “provinciali”, sovente dotati di strutture più articolate; b)si scoprono molti italiani che hanno fatto “curriculum” in musei stranieri, non manager ma storici dell'arte dotati di capacità gestionale maturata sul campo; c) si conferma che la riforma ha reso attraente la funzione di direttore di museo nei musei dello stato per figure professionalmente varie e complesse provenienti anche da fuori d'Italia.

C'è qualcosa di più, forse, in questa diatriba: l'idea radicata di una contrapposizione ideologica fra “valorizzazione” e “conservazione”. Come se la valorizzazione inibisse la tutela , la conservazione e lo studio dei beni culturali. Eppure fin dagli anni Settanta, quando si chiamava fruizione, la valorizzazione era un'idea progressista. Come mai adesso viene attaccata come un baluardo retrogrado della conservazione politica?

E' vero, la polemica è anche frutto di una reiterata impostazione delle discussioni su questi temi un po' alienante. Una discussione tutta fondata sugli equivoci che generano e che portano con se le parole chiave dell'enfatico e vacuo dibattito. Cominciamo con la stessa parola “cultura”, dilatata a comprender fenomeni tra loro assai distanti, dalla ricerca scientifica all'arte, allo stile di vita del mangiare e del vestire; e poi a disputa su tutela e valorizzazione, altra parola equivoca che può significare da un estremo “vendere con profitto” e dall'altro sviluppare ricerche storiche, il silenzio dell'applicazione individuale allo studio da un lato e dall'altro un tintinnar di monete. Vien infine la disputa “privato-pubblico” dove con pubblico si intende sia l'odiosa burocrazia che l'orgoglio di una nazione, mentre con privato non si sa se si vuol parlare di privati che donano o di privati alla ricerca di commesse pubbliche di servizi (estesi all' organizzazione di mostre). Se crediamo, secondo spirito liberale, che la proprietà genera la responsabilità che con essa è correlata, allora ne discende che laddove lo Stato è proprietario sta allo Stato prendersene cura. Oggi le condizioni dei musei statali per lo più appaiono condizioni di disarmo. Spero non sia in disarmo lo Stato; la riforma vuol rassicurare che non è così!

Registrati alla newsletter
Accedi alle informazioni per te più interessanti, a quelle inerenti i luoghi più vicini e gli eventi organizzati
Tutto questo non sarebbe possibile senza di te
Tutto questo non sarebbe possibile senza di te