Trent'anni di un artigiano tra le Soprintendenze

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Trent'anni di un artigiano tra le Soprintendenze
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05 ottobre 2016

Marco Magnifico, vicepresidente esecutivo del FAI, racconta trent'anni di dialogo con le Soprintendenze ai Beni Culturali

Forse Francesco Valcanover , Nicola Spinosa , Gianni Romano  e Carlo Bertelli ( tanto per citare alcuni grandi funzionari del Ministero dei Beni Culturali che  tra gli altri ho conosciuto e frequentato ) non sarebbero diventati soprintendenti se avessero partecipato al concorsone di pre-selezione avvenuto nell'estate 2016 per 40 storici dell'arte da immettere nella dissanguata struttura del nostro Ministero, come previsto dalla benedetta decisione di Dario Franceschini che prevede l'assunzione di 500 nuovi funzionari ( pochi ma molto meglio di niente ) tra archeologi, architetti, archivisti, storici dell'arte , etc.

Nessuno di loro - sono pronto a giurarlo - avrebbe saputo cosa rispondere a domande del tipo:

L'opera all'amico Lucio dello scultore catanese Carmine Susinni, esposta anche all'EXPO di Milano lungo il decumano, ritrae Lucio Dalla:A in piedi con il clarinettoB che parla con un gattoC seduto su una panchina

Viene da ridere per non piangere perché molte altre domande di questo tenore caratterizzavano questa indecente prova d'esame in base ai cui risultati sono stati selezionati 200 storici dell'arte ( molti dei quali ultracinquantenni ! ) che affronteranno in autunno la seconda prova necessaria a selezionare i 40 che saranno assunti.

Aggiungo, per caustico dovere di cronaca, che anche un ragazzino che frequenta una buona scuola media avrebbe potuto ambire a quel posto visto che un'altra delle domande era questa:

In quale cappella della Città del Vaticano sono visibili alcuni tra i più famosi affreschi di Michelangelo Buonarroti tra i quali "Il Giudizio universale?:A Cappella di Sant'OlavB Cappella CornaroC Cappella Sistina

Da non credere, ma giuro che è vero!

E, a questo punto quasi per depravazione, aggiungo un ultimo esempio:

I bronzi di Riace ( V secolo a.C. ) oggi a Palazzo Campanella di Reggio Calabria ( N.B. Il museo non era ancora aperto al momento in cui i quiz furono scritti ) sono stati realizzati :A in marmoB in legnoC in bronzo

Questa tangibile, recente e indecorosa testimonianza del degrado culturale del nostro Paese dalle cui ceneri il MiBACT tenta ora (a dispetto di questo concorso ) di risorgere come l'araba fenice non è altro che l'ultimo farsesco atto di un declino non ancora percepibile 32 anni or sono quando iniziai a lavorare come giovane "addetto culturale" del FAI.

L'esercizio culturale del potere

Non ho citato a caso Valcanover, Spinosa, Romano e Bertelli; nel 1984  - anno della mia assunzione nella neonata e sconosciuta fondazione - il Doge Valcanover era soprintendente a Venezia, il Borbone Spinosa a Napoli, il Sabaudo Gianni a Torino e l'Arciduca Bertelli a Milano.

Erano figure centrali nella vita della città e il loro carisma si confrontava solo con quello del patriarca o dei cardinali arcivescovi e, forse, ( ma non ricordo chi sedeva allora nei rispettivi municipi ) con quello dei sindaci. Il loro giudizio pesava anche in questioni cittadine non necessariamente legate alla gestione del patrimonio culturale, avevano un posto d'onore in ogni grande occasione ufficiale della città, accompagnavano in visita i capi di Stato, davano lustro con la loro presenza ( che veniva concessa con attento giudizio ) alle più importanti occasioni sociali e anche mondane della città; se il loro pollice, nel giudicare una persona o un evento, era verso erano problemi seri; i loro progetti erano strategici per la città intera, godevano di generale e indiscusso prestigio personale anche a livello internazionale, coltivavano amicizie nazionali e internazionali selezionate e prestigiose e incutevano anche un po di giusto e meritato timore. Contavano molto più dei ministri-Carneade che allora ( prima dell'arrivo di Alberto Ronchey quando le cose cominciarono a migliorare ) nessuno si "filava" e che scaldavano la seggiola al Collegio Romano o, al più, studiavano un po' di storia dell'arte per essere all'altezza dell'incarico come ammise con lodevole e sconcertante innocenza Vincenza Bono Parrino al momento della sua nomina a Ministro nel 1988.

Io ero giovane trentenne e venivo spesso spedito ( in tutto al FAI eravamo meno di una decina ) nei loro uffici per qualche pratica relativa ad un restauro; per me era emozionante come andare al Quirinale! Nelle anticamere dei loro uffici si respirava un'aria solenne; i collaboratori ronzavano come api laboriose, camminavano lesti e silenziosi e ogni tanto dalla stanza del Soprintendente usciva un barrito (se era Spinosa) o un sibilo affilato (se era Romano ); io fremevo e sudavo freddo in attesa di essere ricevuto... Il giudizio del soprintendente era credibile, definitivo, inappellabile, appropriato e meditato anche se espresso in pochissimi minuti; capivo subito che era GIUSTO! Veniva dato in base a criteri che venivano da una profonda , vasta e poliedrica cultura personale che spaziava ben oltre il barocco napoletano, il rinascimento piemontese o l'alto Medioevo dove Spinosa, Romano e Bertelli pesavano come Padreterni. Avere a che fare con loro era, per un giovane come me, come incontrare Seneca o Socrate; pendevo dalle loro labbra, un loro sorriso mi dava coraggio, un loro sopracciglio inarcato mi gettava nello sconforto; mi sudavano le mani e cercavo di dare tutto il meglio di me stesso....; siccome non ero scemo e nemmeno del tutto impreparato ne divenni con gli anni amico; ma ancora oggi considero Gianni, Carlo e Nicola, e  Cesco, (al quale questo Forum, che sarà raccolto in un volumetto è dedicato, ci ha lasciati quest'estate) maestri prima ancora che amici.

Maestri ! Appunto.

Erano Maestri , ancor prima che per me, per il Paese, per i politici, gli amministratori cittadini, per i numerosi ispettori che allevavano e preparavano al futuro come Socrate faceva con i suoi alunni perché sapevano che a loro avrebbero un domani affidato, con meritata sicurezza, le redini del dorato cocchio dei Beni Culturali italiani. Celebri le "spinosine" come la mia grande amica Mariella Utili oggi soprintendente per il Polo Museale regionale della Campania, o come la mitica adorante truppa che attorniava Gianni Romano a Torino e della quale faceva parte anche Cristina Mossetti che, oggi  in pensione, per nostra fortuna collabora col FAI al Castello di Masino.

Dove è finito tutto ciò ? I grandi Maestri sono scomparsi non personalmente ma come figura; i loro allievi hanno la mia età e, se non sono già in pensione, poco ci manca; cosa rimane di quella grande tradizione, di quella scuola, di quella capacità di dare giudizi quasi immediati e inappellabili dati per virtù di conoscenza e non per dovere d'ufficio, di quella ampiezza di vedute e di visione che solo una grande e multiforme cultura consente? Che ne è di quel senso dello Stato che ne faceva veri e fieri servitori delle Istituzioni?

Non tutto è perduto naturalmente; ...non tutto ma ahimè parecchio! I decenni che hanno seguito il Sessantotto hanno sfornato un buon numero di incolti (chi non ricorda gli esami di gruppo alla facoltà di architettura di Milano?) che una volta arrivati allo scranno del potere lo hanno spesso (non sempre!) esercitato con l'arroganza di chi può ma non sa.

Ho vissuto, in questi 30 anni, decine di esperienze umilianti (parlo più come cittadino che come funzionario del FAI) dove di fronte a ispettori di soprintendenza incaricati di seguire i nostri restauri  ho dovuto spesso sentirmi dire, chiedendo spiegazioni su prescrizioni della cui assurdità sarebbe impietoso raccontare , «perché così è più bello» (testuale nel corso dei restauri a Villa dei Vescovi); ho assistito alla dilapidazione di formidabili montagne di soldi pubblici in restauri di beni dello stato come nel caso del tempio di Ercole vincitore a Tivoli, "restaurato", inaugurato e subito richiuso (e tutt'ora chiuso è dopo almeno 5 anni) mentre a noi venivano fatte le pulci su particolari del tutto irrilevanti durante i lavori per riportare in vita, per sempre e con crescente successo di pubblico, Villa Gregoriana, a poche centinaia di metri, a noi affidata da quel medesimo Stato con il quale stavamo lavorando per gli stessi intenti anche se i responsabili della soprintendenza non mostravano di gradirlo tanto; ho dovuto qualche volta imporre (lo ammetto e mi autodenuncio) ai miei collaboratori di fare alcuni piccoli lavori senza consultare la soprintendenza perché ben conscio (conoscevamo, e ne eravamo già stati scottati, l'atteggiamento nei nostri confronti del funzionario di zona) che sarei stato costretto ad interventi costosi e senza senso; ho pianto di rabbia nel ricevere e leggere autorizzazioni che ci obbligavano a gettare danaro racimolato da donatori privati o da sponsor con immane fatica per venire incontro a veri e propri capricci di funzionari che volevano dimostrarci di avere il coltello dalla parte del manico (ricordo un certo scavo archeologico a villa Necchi a Milano che fermò per mesi un complesso e costosissimo cantiere per studiare i resti delle fondamenta di un settecentesco ricovero per gli attrezzi agricoli ad uso di chi coltivava gli orti esistenti a quel tempo dove oggi sorge il tennis; un danno da decine e decine di migliaia di euro! avessimo trovato una villa romana capisco...); ho cercato - e tutt'ora mi capita spesso di farlo - di combattere contro la diffidenza precostituita di funzionari gelosi - sì! gelosi- del lavoro che una fondazione privata come la nostra fa quotidianamente e gratuitamente a favore dello stesso Patrimonio , dello stesso Paese e con gli stessi scopi per i quali quegli stessi funzionari sono stati assunti.

Da una parte il ministro Franceschini dice che ogni vittoria del FAI è una vittoria dell'Italia; dall'altra numerosi suoi funzionari ci mettono i bastoni fra le ruote e ci considerano solo dei pericolosi e invadenti concorrenti. Ho penato, assieme ai miei collaboratori, per la fatica di coniugare tra loro diversi pareri, di diverse soprintendenze giunti in tempi diversi e a volte in parziale contrasto tra di loro. Ho assistito anche (e poi la smetto), a recenti episodi di vassallaggio di soprintendenti nei confronti di porporati arroganti, ricchi e potenti; cito ad esempio un vescovo del centro Italia soprannominato Monsignor Rolex (...e non dico altro ) che pretendeva di incamerarsi i soldi raccolti  dal FAI per un intervento di restauro ad una chiesa della sua diocesi precedentemente concordato e formalmente autorizzato dai funzionari del MiBACT e poi improvvisamente negato per dirottare i fondi su interventi misteriosi cari a conoscenti del porporato-padrone. Povera Italia, ancora in scacco di questo potere parallelo, nonostante papa Francesco!).

Gli incontri felici

Ma per fortuna ho lavorato, collaborato, imparato, gioito di fronte a loro risultati importanti , sofferto per i soprusi anche da loro ricevuti dai superiori, con molti, moltissimi giovani e meno giovani , spesso eroici ispettori e soprintendenti  in tutta Italia.

Ho lavorato con entusiasmo e molto imparato da Andrea Alberti, per troppo poco tempo responsabile del restauro di villa dei Vescovi (oggi è sovrintendente a Brescia ), quando nel condurre il restauro degli intonaci originali del Falconetto ci dimostrò  come dal loro attento studio fosse possibile finalmente capire l'originario progetto che prevedeva una facciata principale diversa rispetto a quella odierna; stiamo in questi mesi lavorando con grandissimo e stimolante spirito di collaborazione con la giovane , colta e dinamica funzionaria di zona della Soprintendenza pugliese Giovanna Cacudi nel cantiere dell'abbazia di Cerrate a Lecce; ho ammirato ( e quasi adorato ) la mitica Graziella Fiorentini messa agli arresti domiciliari (e poi naturalmente assolta con formula piena) per avere salvato la valle dei Templi di Agrigento; ho tentato di consolare la (purtroppo da poco scomparsa) eroica archeologa e direttrice dell'area archeologica e del museo di Sibari, Silvana Luppino, all'indomani della disastrosa esondazione del Crati da lei paventata per anni e poi puntualmente avvenuta nonostante i suoi plurimi e inascoltati allarmi inviati ai suoi superiori e alle autorità competenti (contro il suo parere di direttrice del museo, inoltre, la soprintendenza calabrese aveva anche autorizzato in poche ore l'invio a Bruxelles per una inutile e breve mostra la favolosa testa bronzea greca del quinto secolo a.C. del Toro cozzante , capolavoro del museo che ritornò a Sibari in pezzi...); abbiamo avuto plurimi , entusiasmanti e risolutivi dibattiti con Michela Di Macco, Elena Ragusa e l'architetto Elena Frugoni, tutte delle soprintendenze torinesi, durante gli anni dei restauri al castello e alla chiesa di Manta e ai loro strepitosi affreschi, così come abbiamo lavorato gomito a gomito, come sempre dovrebbe essere, con l'acuto e profondo Claudio Bertolotto al difficile riarredo filologico del Castello di Masino; illuminante l'esperienza di lavoro con il Soprintendente all'Archeologia lombarda Filippo Maria Gambari nell'ultima importante campagna di scavi al Monastero di Torba... senza parlare delle tante belle giornate di lavoro vissute con Carla Di Francesco, Caterina Bon quando ancora erano "sul territorio"; non posso citare tutti quelli che vorrei per difetto della memoria ma temo di non dimenticarne molti di soprintendenti e ispettori colti, genuinamente entusiasti del loro lavoro e soprattutto sinceramente pronti e contenti di lavorare proficuamente con noi e non contro di noi.

Un futuro per le soprintendenze

Devo ammetterlo: in questi 30 anni di lavoro  sono state forse più le occasioni di disappunto che quelle di soddisfazione nate dal rapporto con le strutture periferiche del ministero anche se son molto sincero nel  dire che le occasioni di felice collaborazione sono state qualitativamente molto importanti per la crescita professionale del FAI e mia personale. D'altro canto non metto in dubbio qualche nostro errore di prosopopea milanese e nemmeno sottovaluto - anzi! - le tremende difficoltà di un lavoro mal retribuito, non supportato a livello centrale dalle necessarie attenzioni, schiavo di legacci sindacali che risalgono ad un'altra era e che non consentono l'elasticità necessaria ad un lavoro produttivo, reso difficile da continue riforme e controriforme che ogni volta costringevano a, spesso incomprensibili, cambiamenti e infine privo delle più elementari dotazioni tecnologiche oltreché spesso anche dei soldi per pagare la benzina dell'auto privata dei funzionari.

Una vita difficile e spesso non gratificante; ma quanta autoreferenzialità, quanta mancanza di voglia di adeguarsi al presente, di interpretare il proprio ruolo alla luce dei tempi radicalmente mutati, quanto poco desiderio di cambiare, quanta , come dire? , stanchezza - e spesso arroganza - nello svolgere un ruolo che solo dal lavoro comune con le altre istituzioni (in primis le Università) e con i sempre più numerosi gruppi di privati può felicemente e produttivamente operare per il bene comune; e che invece è troppo spesso gelosamente svolto dando la netta sensazione di voler conservare un  monopolio anacronistico e velleitario. Non c'è futuro per una soprintendenza poliziesca e chiusa in se stessa; il futuro sta solo nel lavoro comune e condiviso con una collettività pubblica e privata sempre più presente, cognita, disponibile e pronta ad un lavoro sussidiario cosciente e di qualità, per altro riconosciuto e incoraggiato dalla costituzione; naturalmente e ovviamente guidato da chi, per legge, per natura e per competenza questo compito ha avuto nell'ordinamento dello Stato; cioè, appunto, le soprintendenze.

Il futuro non può che riservare, alla luce della recente, ampia, forse risolutiva, discussa e anche (dai soliti catastrofisti/benaltristi ) avversata Riforma Franceschini, un proficuo benché lento cambiamento. E lo vedo dalla felicissima esperienza che proprio in queste settimane la mia collega Daniela Bruno, responsabile dell'Ufficio Valorizzazione del FAI (sì, VALORIZZAZIONE! Che non significa monetizzazione) sta vivendo nel nuovo progetto di restauro che assieme alla soprintendenza di Genova e alla università locale - tutti insieme! per lo stesso scopo! - stiamo predisponendo per l' Abbazia di San Fruttuoso a ormai 25 anni dal primo grande intervento seguito alla donazione della famiglia Doria Pamphilj al FAI. I tre funzionari archeologo, architetto e storico dell'arte lavorano, forse per la prima volta, assieme (perché così finalmente prevede la riforma) e soprattutto assieme a noi con un nuovo spirito e una nuova disponibilità entusiasmanti; non vi è controllore e controllato in questo nuovo modo di lavorare; vi sono un proprietario e una istituzione dello Stato che lavorano assieme per il BENE COMUNE in un clima di reciproca stima e di totale condivisione degli scopi finali del lavoro comune che alla fine, come è giusto che sia, deve essere dalla soprintendenza validato. Questo lavoro ha sortito anche un miracolo che attendevo da oltre 25 anni: il meraviglioso grande frammento di balaustra in stucco del decimo secolo ritrovato durante gli scavi operati dal FAI, più volte chiesto alla soprintendenza in deposito presso l'abbazia ma sempre negato e gelosamente custodito negli invisibili depositi della soprintendenza ci viene finalmente dato ; tira un'aria nuova! Quale grande soddisfazione. Se succede a San Fruttuoso potrà succedere anche altrove; anzi: dovrà succedere anche altrove! Alla faccia di coloro che credono in un modello immutabile di comando e geloso possesso che sta morendo e che non tornerà più indietro. Cosi come è inevitabilmente finita l'era di  quei grandi Maestri, (i tempi non consentirebbero assolutamente più un ruolo cosi padronale anche se svolto con tanta impagabile qualità di contenuti), con il ricordo dei quali ho iniziato queste mie note molto personali e autobiografiche; esse nascono solo dalla esperienza personale di un italiano entusiasta che al Patrimonio culturale ha dedicato e dedica, tra errori e mancanze ma anche con vera e sincera passione, la vita intera.

Una grande soddisfazione

Ricordo quando, peregrinando giovane trentenne, con la nostra indomita e visionaria fondatrice Giulia Maria Crespi, per gli uffici del National Trust inglese , uscimmo dall'ufficio dell'allampanato e inglesissimo Martin Drury (che fu poi anche Director General del Trust) che nel salutarci ci disse: «La vostra più grande soddisfazione sarà, tra vent'anni, guardarvi indietro e vedere tanti pezzi del vostro del Paese tornati a vivere per sempre e per tutti. Così è stato. Sono grato al destino per avermi concesso una così entusiasmate avventura.

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