01 ottobre 2012
Riprendono, finalmente, i mercoledì dell'arte in compagnia di prestigiosi docenti provenienti da atenei e ambiti professionali di riconosciuta autorevolezza. Torna, infatti, dopo la pausa estiva, il corso del FAI “Maestri d'Italia. Sperimentazioni e ritorni all'ordine nella modernità. Lo sviluppo di un linguaggio figurativo nazionale” che terrà compagnia agli appassionati d'arte attraverso 10 incontri sul Novecento italiano, da ottobre a dicembre, sempre alle ore 18 presso l'Aula Magna dell'Università degli Studi di Milano. Il 3 ottobre 2012 l'incontro sarà dedicato a La pittura dei futuristi e spetterà a Flavio Fergonzi, docente dell'Università degli Studi di Udine, il compito di intrattenere il pubblico.
Il primo futurismo (dal 1910, data del Manifesto della Pittura Futurista, al 1916, data della morte di Umberto Boccioni) cambia, nella pittura e nella scultura italiana, i linguaggi della rappresentazione. Con sgomento i visitatori delle mostre futuriste si avvicinavano ai quadri, leggevano i titoli sui cartellini o sul catalogo, e non riconoscevano sulle tele ciò che insegnavano loro l'esperienza quotidiana e la tradizione della pittura occidentale. Questo perché i pittori futuristi (Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini, per fermarsi ai cinque che firmarono il primo manifesto) non rappresentavano più le cose che cadevano sotto la percezione ottica, ma provavano, piuttosto, a rappresentare concetti, come la velocità, la simultaneità, la relazione materia-memoria. Al povero visitatore delle mostre era chiesto di fare uno sforzo in più: di leggere cioè la pittura (o la scultura, o i polimaterici) nella loro identità linguistica. Il cubismo divenne la loro grammatica: ma lo arricchirono di colore, movimento, aggressività, e di un'urgenza di soggetto che al cubismo erano sconosciuti. E poi lo abbandonarono per uno stile autonomo, di inaudita sintesi lineare. Queste scelte amplificarono il successo di scandalo dei pittori: i loro quadri furono irrisi, idolatrati, mostrati sulle scene dei teatri come oggetti di provocazione, discussi sulla stampa di tutto il mondo, acquistati da collezionisti coraggiosi (la prima mostra fu venduta in blocco), poi mostrati in tour internazionali come folli rarità.
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