27 giugno 2016
L'enciclica Laudato si' ha costituito una profonda innovazione nella tradizione dei documenti pontifici: sia per l'argomento trattato sia per l'uditorio al quale è rivolta, che trascende in larga misura la comunità dei credenti. Forse per questo ha avuto un'accoglienza imprevedibile, in certi casi quasi contraddittoria, nel mondo cattolico (con l'eccezione — bisogna ricordarlo — dell'Unione internazionale superiore generali): molte parole di elogio, ma poca discussione franca e reale, pochi progetti concreti. Mentre al contrario le parole del Papa sono state ascoltate e apprezzate in contesti laici, dove di solito l'attenzione verso la Chiesa non è abituale. E da questo ascolto stanno nascendo nuovi dialoghi, nuove proposte di collaborazione fra cattolici e laici, nuovi progetti per la salvezza della nostra casa comune, l'ambiente.
«L'Osservatore Romano» ha già dato ampio spazio, ma vuole continuare a farlo, alla generosa collaborazione con il FAI (Fondo ambiente italiano), che sta diffondendo l'enciclica in ambienti tradizionalmente lontani dalla Chiesa, ma attenti ai problemi ambientali. Si tratta di un'alleanza certo non secondaria. Trovare un obiettivo di collaborazione comune, e per di più un obiettivo di questo spessore, di questa importanza, serve non soltanto a risvegliare in tutti l'interesse per l'ambiente, ma anche a riscoprire il valore spirituale del rapporto con il creato, con la bellezza del mondo. Come spiega in questo colloquio il presidente del Fai, l'archeologo Andrea Carandini.
Il FAI è autonomo da ogni religione e da tutte le politiche, ma il suo nome è indissolubilmente connesso all'ambiente. Cos'è l'ambiente se non il contesto portato all'ennesima potenza, e cioè non scisso dal mondo degli uomini e delle culture, ma a esso intrinsecamente collegato? Certo, una natura indisturbata è esistita, ma solamente prima che l'homo sapiens cacciatore e raccoglitore invadesse dall'Africa il pianeta, eliminando la metà dei grandi mammiferi; è esistita prima che il sapiens agricoltore abbattesse boschi per creare radure e coltivarle, e prima che modificasse semi e animali, addomesticandoli; è esistita prima dei regni, degli imperi, delle grandi civiltà che hanno plasmato e riplasmato i paesaggi; è esistita infine prima che la rivoluzione scientifica e industriale sconvolgesse il globo. Così la terra appare oggi caratterizzata, più che da una natura primigenia, da una natura fortemente diminuita e rimodellata da cinquantamila anni di sapiens predatore e civilizzatore. Insomma, l'ambiente è per noi l'unione di natura, cultura (scienza, storia, arte) e condizioni umane segnate dagli arricchimenti e dagli impoverimenti. La comparsa, un anno fa, dell'enciclica del vescovo di Roma chiamato Francesco — che sta portando a una riforma latina del cristianesimo, cinquecento anni dopo quella protestante avvenuta tra Germania e Inghilterra — ha avuto l'effetto di uno shock. In un clima di apertura mentale senza precedenti nei confronti dei bisogni umani e delle aberrazioni del sistema capitalistico-industriale-tecnologico che ormai caratterizza la terra, il Pontefice lancia una sfida al sapiens di inedita profondità, ampiezza e interconnessione. Tra gli effetti perversi del sistema di produzione attuale sta la frammentazione del reale e la confusione fra mezzi e fini ultimi, fra economia e valori, là dove i valori sono costretti a inginocchiarsi ai mezzi necessari per attuarli.
Il FAI, la cui missione pare riconosciuta dall'enciclica quando si sottolinea che «c'è anche un patrimonio storico, artistico e culturale ugualmente minacciato» (143) e si parla della «varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti» (232), ha subito aperto un dibattito sul testo papale nel suo sito (www.fondoambiente.it), ha pubblicato il dibattito in un piccolo libro, che in una festa estiva ha distribuito ai propri volontari. Il testo del Papa è infatti rivolto a tutti, ed è bene che tutti lo leggano e lo commentino. Con questa enciclica Roma ha ritrovato quella missione universale “sino ai confini del mondo”, che aveva caratterizzato la Chiesa dei primi secoli e l'impero romano.
Nella cultura italiana si confrontano ancora oggi due prospettive culturali. La prima considera l'arte e l'architettura selezionando le opere più rappresentative, ma separandole così dalla totalità del reale e quindi dalla storia. La seconda prospettiva considera tutte le testimonianze di civiltà, di carattere storico e artistico, all'interno di contesti paesistici, e questi ultimi nel contesto dell'ambiente naturale e umano. Il Fai propende oramai nettamente per la seconda prospettiva. I suoi beni, quelli che gestisce e quelli di cui in qualche modo si prende cura sono considerati come fulcri dei sistemi contestuali e paesaggistici che li circondano. La sua rete di delegazioni, gruppi e gruppi giovani copre l'intero Paese, assicurando il riconoscimento, la difesa e la promozione dei valori ambientali, della storia e delle arti nelle comunità locali. Il Fai conserva terre e opere per tutti e non per le cose stesse, che isolate dall'inesauribile commento umano giacerebbero come Lazzari non risuscitati. È il soffio umano di oggi che dice a prodotti e alle creazioni delle diverse civiltà: alzati e cammina, nel senso che contesti, storia e arte muovono incontro a noi, e noi incontro a loro, in un grande abbraccio antropologico che tutto comprende, anche se non tutto giustifica. In questa sua missione il Fai si sente straordinariamente incoraggiato, legittimato e ispirato dall'enciclica, per cui la riflessione su di essa non si fermerà e anzi si estenderà: sia presso la struttura, sia presso i settemila volontari, sia presso i trentamila apprendisti ciceroni, sia infine presso i circa due milioni di italiani che votano per “I luoghi del cuore”. Se le persone, individuo per individuo, associazione per associazione, istituzione per istituzione, nazione per nazione, federazione per federazione non riapprenderanno l'amore per la natura, per la storia, per l'arte e l'amore per gli altri, gli esseri umani non incontreranno quella serenità punteggiata da felicità che rende la vita decente, e cioè degna d'essere vissuta nonostante i dolori. In questa opera il Fai cercherà sempre più di raggiungere Comuni, parrocchie e altre associazioni, in una grande lega per salvare il pianeta, a partire da casa nostra.
Naturalmente si tratta di una impresa che per la sua contestualità e vastità fa tremare le vene e i polsi. L'homo sapiens saprà avvezzarsi a una tale visione del mondo, saprà arginare la sua voglia di predare, saprà convertire la sua furia distruttrice in una creatività pacifica, benevolente e in armonia con un pianeta da decine di migliaia di anni fiaccato da un animale dotato di ragione che a volte si crede un dio? Saprà il sapiens, dopo aver addomesticato cani, frumento e capre, addomesticare anche se stesso, nel senso del vivere finalmente in armonia con ciò che ancora resta della ricchezza e della varietà della natura e delle civiltà? Il sapiens ha distrutto il Neanderthal, tanti animali, porzioni della terra, compromettendo gli stessi elementi: terra, acqua, fuoco, aria. Se non si riconvertirà sarà lui il colpevole dell'estinzione della specie. La sfida basilare è questa: come contemperare la giustizia sociale, con la libertà di scelta dell'individuo e con l'uso compatibile della natura? Valori che la storia ha dimostrato in contrasto tra loro, ma che possono essere combinati al meglio, luogo per luogo in giro per il mondo, ricordando che solo Dio è perfetto.
Nel pensare a Papa Francesco il Fai fa un sogno. Far conoscere i propri beni, magari il bosco ad Assisi, al Pontefice, in un incontro con coloro che donano la cosa più preziosa, il tempo, per rendere più umana la vita nella nostra patria. Il sogno si conclude con il Francesco della contemporaneità, che ancora una volta racconta chi è stato il Francesco del medioevo, in una comunione di donne e uomini di buona volontà.
Lucetta Scaraffia, storica, editorialista dell'Osservatore Romano
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