02 febbraio 2007
Frutto di un lungo lavoro durato ben due anni, la raccolta di fiabe di Italo Calvino è forse tra le più ricche e dettagliate della storia italiana. Il suo è stato un paziente e rigoroso lavoro di collezione e classificazione delle fiabe italiane provenienti dalle diverse tradizioni regionali e per la prima volta raccolte per ispirazione sociologica ed etnografica.
In Italia, infatti, le fiabe sono sempre state esclusivo appannaggio della letteratura per l'infanzia, risultando spesso una materia istintiva, priva di schemi e regole compositive. Calvino si immerge, come lui stesso afferma, “in questo mondo sottomarino disarmato d'ogni fiocina specialistica, sprovvisto di occhiali dottrinari, neanche munito di quella bombola d'ossigeno che è l'entusiasmo per ogni cosa spontanea e primitiva”, ma “esposto a tutti i malesseri che comunica un elemento quasi informe, mai fino in fondo dominato coscientemente come quello della pigra e passiva tradizione orale”.
L'infinita varietà e ripetizione delle storie riportate, il rispetto e la conservazione delle differenze, delle variazioni di tono che fanno di un semplice canovaccio narrativo, l'espressione di una realtà storica e sociale, sono le regole della ricerca di Calvino. Tra complessità irrisolta e tensione all'esattezza narrativa, l'autore si fa prendere dalla convinzione della verità delle fiabe, come “spiegazioni generali della vita, e catalogo dei destini che possono darsi a un uomo o una donna”.
Le fiabe, infatti, rappresentano la voce ingenua e immediata dell'esistenza, carica di entusiasmi e di paure, di odii e innamoramenti. È la voce autentica dell'infanzia di ogni individuo.
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