20 aprile 2018
L'acqua è un bene essenziale per l'umanità ma è una risorsa scarsa che va valorizzata e difesa attraverso azioni congiunte volte al risparmio, al recupero e e al riciclo. Nell'ambito della campagna di sensibilizzazione del FAI ecco alcuni approfondimenti su casi virtuosi di gestione idrica.
L’acqua è, infatti, l’origine non solo fondante ma anche etimologica di questo Bene: il termine “kolymbethra” in greco significa ‘piscina’ ed era così chiamato il Vallone della Badia Bassa (dove si trova oggi il Giardino), che ai tempi della città greca era una sorta di vivaio di pesci, abitato da cigni e altri volatili. Così Diodoro Siculo descrive la Kolymbethra, straordinaria opera pubblica dell’antica Akragas (V secolo a.C.) di cui rimangono vive le tracce negli Acquedotto Feaci, condotti idrici scavati nella roccia (ipogei) che tuttora sono in gran parte attivi e forniscono le acque indispensabili all’attività agricola.
In un ambito, quello agrigentino, poverissimo di acque e, quindi, naturalmente poco adatto alla coltivazione degli agrumi e degli ortaggi, il vallone della Kolymbethra è un luogo ancora più unico, grazie alla sua morfologia ed alla presenza di questi ipogei, che tuttora captano le acque profonde della collina di Girgenti e la rendono disponibile per la campagna. Un luogo che si propone quale sintesi alta tra archeologia e paesaggio, tra la storia antica, evocata dagli ipogei, e quella dei secoli più vicini a noi, leggibile nel sistema produttivo insediato. Un legame che si materializza costantemente in tutta la sua potenza nel sistema di irrigazione: l’acqua piovana, raccolta nelle gebbie (vasche), poi riversata nelle saje e, attraverso i cunnutti, accumulata nelle casedde con l’agrume da dissetare, sgorga ancora dagli antichi Acquedotti Feaci.
La “riemersione” dell’acqua alla Kolymbethra e la messa in luce degli ipogei sono stati possibili grazie a una serie di interventi condotti dal FAI.
Si è proceduto con lavori di manutenzione e consolidamento del torrente e del rio affluente che attraversano il Vallone della Badia Bassa, così da mettere in sicurezza l’area, evitare danni ai campi coltivati e contribuire alla riqualificazione naturalistica del Giardino. Le operazioni sono state eseguite secondo le tecniche dell’ingegneria naturalistica, ovvero abbinando l’utilizzo di materiali naturali, legno e pietra, all’uso di piante vive, salici e tamerici, a scopo di consolidamento. In particolare sono state costruite delle scogliere vive per rinforzare il piede delle sponde nei tratti in frana, mentre si è proceduto alla messa a dimora di piantine, tutte di specie vegetali già presenti nei luoghi d’intervento.
Altro importante capitolo di questo intervento è stato il recupero della storia colturale del Giardino attraverso il rifacimento dell’antico sistema irriguo, sia nelle superfici in piano che nelle terrazze. I lavori di ripristino sono iniziati con il restauro delle due gebbie del giardino. Una, di recente realizzazione (metà Novecento) è stata ripulita e subito rimessa in attività; la seconda, risalente all’impianto del Giardino, ha richiesto notevoli opere di consolidamento e di impermeabilizzazione.
Ricreando il sistema di adduzione tradizionale di canalette in terra battuta (saje e cunnutti), riprendendo l’uso di canali di terracotta e ricostruendo due acquedotti che attraversavano l’alveo del torrente, l’acqua è finalmente tornata a scorrere e ad irrigare gli alberi del Giardino della Kolymbethra. Ogni anno i solchi di tutte le canalette in terra battuta che circondano gli agrumi vengono riscavati dai giardinieri del FAI, mantenendo sempre efficiente questo antico sistema.
Nel sottosuolo è stato realizzato anche un moderno impianto di sub-irrigazione che economizza l’uso dell’acqua e l’impiego di manodopera, consentendo di mantenere in superficie l’originale sistemazione del suolo che dà il senso del tipico impianto agricolo.
Recentemente, inoltre, il FAI è intervenuto insieme al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi ripristinando e rendendo visitabile l’antico percorso Ipogeo di Porta V, parte del ricchissimo patrimonio sotterraneo di Agrigento. Gli ipogei erano strutture cunicolari scavate dall’uomo per assolvere principalmente all’atavico fabbisogno d’acqua, tipico di queste terre, e secondariamente per immagazzinare derrate alimentari e conci di calcarenite. L’Ipogeo di Porta V, di particolare interesse dal punto di visita archeologico, geologico, speleologico e naturalistico, è lungo circa 185 metri, presenta tre punti di accesso (due posizionati all’interno della Kolymbethra e uno nell’area del Parco Archeologico) ed è visitabile attraverso speciali visite guidate condotte da esperti speleologi.
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