25 settembre 2020
Finalmente la bella notizia, attesa da anni, è arrivata! Il Parlamento italiano ha ratificato la "Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società", presentata a Faro in Portogallo nel lontano 2005 e sottoscritta dal Governo nel 2013, ma a lungo rinviata, osteggiata per diverse, e spesso opposte, ragioni da vari ambienti ostili.
La Convezione, nata all’indomani delle tragiche guerre balcaniche, propone una visione pluralista, inclusiva e rispettosa delle diversità, con lo “scopo di salvaguardare e promuovere quegli ideali e principi, fondati sul rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto, che costituiscono il loro patrimonio comune”. Sottolinea “il valore e il potenziale di un patrimonio culturale usato saggiamente come risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione” e riconosce a ogni persona “il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, a interessarsi al patrimonio culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto a partecipare liberamente alla vita culturale” (preambolo).
Soprattutto – ed è questa forse la novità principale – affida un protagonismo finora impensabile alle cosiddette “comunità di patrimonio”, “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future” (art. 2). Sottolineando che “chiunque da solo o collettivamente ha diritto di contribuire all'arricchimento del patrimonio culturale” (art. 5), si sollecita la partecipazione democratica dei cittadini, attribuendo a tutti un ruolo attivo e anche il diritto, individuale e collettivo, “a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento” (art. 4).
Ribadisce in più modi la necessità della partecipazione democratica dei cittadini “al processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione del patrimonio culturale” nonché “alla riflessione e al dibattito pubblico sulle opportunità e sulle sfide che il patrimonio culturale rappresenta” (art. 12). È impressionante il ribaltamento del punto di vista tradizionale: non più solo quello degli specialisti, dei professori e dei funzionari della tutela, ma anche quello delle comunità locali, dei cittadini, dei fruitori. Non si ridimensiona la funzione degli specialisti, ma si affida loro un ruolo culturale sociale ancor più significativo. Si promuove, infatti, una tutela sociale del patrimonio, l’unica possibile per conoscere, curare, valorizzare e anche gestire un patrimonio così ampio e diffuso come quello italiano.
La Convenzione di Faro contribuirà, mi auguro, a superare anche un conflitto assai dannoso e basato su un fraintendimento, ripetutamente strumentalizzato, quello tra volontariato e lavoro professionale. Servirebbe, al contrario, un’alleanza tra volontari e professionisti dei beni culturali, esattamente come accade in altri ambiti, come ad esempio quello sanitario. Il volontariato non è sostitutivo, ma integrativo e offre un prezioso supporto non solo alla conoscenza, alla cura e alla valorizzazione del patrimonio ma di fatto anche alla creazione di migliori condizioni per sviluppare lo stesso lavoro nel campo della cultura.
È un testo di straordinaria forza, capace di favorire l’espressione di energie finora represse, perfettamente in linea, con i principi fissati nell’articolo 9 della nostra Costituzione, che stabilisce uno stretto legame tra tutela e promozione dello “sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica” e assegna il compito della tutela del “paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione” non già solo allo Stato, né tanto meno a un singolo Ministero, ma alla Repubblica, cioè a tutte le istituzioni pubbliche e all’intera res publica, intesa come comunità dei cittadini. La Convenzione di Faro è, inoltre, coerente con un altro articolo della nostra Costituzione, il 118, che afferma il principio della sussidiarietà e sollecita le istituzioni pubbliche a favorire gli interventi di soggetti privati no profit, come ad esempio il FAI, al servizio di interessi collettivi.
Da ultimo parole preziose a sostegno della sussidiarietà sono venute da papa Francesco. Proprio nelle stesse ore in cui il Parlamento ratificava la Convenzione di Faro, il Papa, presiedendo la consueta Udienza Generale in Vaticano, ha affermato: “I vertici della società devono rispettare e promuovere i livelli intermedi o minori. Infatti il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo. Questi con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano il corpo sociale”. Il Papa ha citato espressamente il principio della sussidiarietà, cui il FAI si ispira nella sua Missione, e ha paragonato la mancanza di rispetto di questo principio alla pericolosa diffusione di un virus. Per rispondere alla grave crisi che stiamo attraversando - ha detto - serve un cambiamento, ma che spetta a tutti: “Il vero cambiamento lo fanno tutti. Tutti insieme. Tutti in comunità. Se non lo fanno tutti il risultato sarà negativo. Per uscire migliori da una crisi il principio di sussidiarietà dev’essere attuato, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti”.
E infine, Papa Francesco ha aggiunto a braccio un esplicito riferimento al volontariato, in cui si incarna il principio di sussidiarietà:
“Quanto è bello per esempio vedere il lavoro dei volontari nella crisi, i volontari benestanti, i volontari poveri, tutti insieme per uscire dalla crisi: questo è il principio di sussidiarietà. Impariamo a sognare in grande, non abbiamo paura”.
Il FAI, da mezzo secolo, ben prima, cioè, che la Convenzione di Faro fosse ideata, ispira la propria azione esattamente ai principi che oggi troviamo nel testo approvato dal Parlamento, condivisi e ribaditi con forza nelle parole di Papa Francesco, e già chiaramente affermati in due fondamentali articoli dalla Costituzione italiana. Sono certo, pertanto, che sarà in prima linea per la sua applicazione. Ora, infatti, dobbiamo evitare il rischio che resti solo sulla carta, com’è successo per altre convenzioni europee. Non basta, infatti, modificare le norme. È necessario promuovere un cambio di mentalità, che non può che partire “dal basso”: bisogna passare, cioè, dal “diritto del patrimonio culturale” al “diritto al patrimonio culturale”.