22 luglio 2010
“Ma il cielo è sempre più blu” cantava Rino Gaetano, circa 35 anni fa. Il tempo vola, si sa, e le cose cambiano. A volte in peggio, decisamente in peggio. E' il caso della minaccia alla salute delle nostre coste rappresentata dalle trivellazioni in mare di petrolio che, dopo la tragedia del Golfo del Messico, ha iniziato a mostrare a tutti il suo volto più spaventoso. La brutta notizia è che la caccia all'oro nero non esiste solo in mondi lontani da noi, ma esattamente nel nostro “back yard”, come direbbero gli americani.
Un back yard che prende il nome italianissimo di mare Adriatico, sempre più preso di mira dalle aziende petrolifere che puntano, con successo, a farsi approvare permessi di ricerca degli idrocarburi sia in mare sia sulla terraferma. A oggi, secondo le stime di Legambiente, in tutta Italia sono stati rilasciati 95 permessi, dei quali 24 in mare, con l'interessamento di un'area di circa 11mila kmq, e 71 sulla terraferma, per oltre 25mila kmq. Nelle nostre acque operano un totale di nove piattaforme, pari a 76 pozzi, dai quali si estrae olio greggio. Due di queste si trovano di fronte alla costa marchigiana, tre di fronte a quella abruzzese e le altre quattro nel canale di Sicilia.
Come se non bastasse, la richiesta di permessi da parte delle aziende non si ferma, tutt'altro. E' notizia recente l'istanza di permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi presentata al Ministero dello Sviluppo Economico dalla Petroceltic Italia, che interessa una superficie di 728 kmq nel tratto antistante la costa abruzzese compreso tra Pineto e Vasto. A questi si aggiungerebbero poi un'altra decina di permessi richiesti su un'area di tremila kmq complessivi.
“Non occorre considerare la gravità di un disastro… - spiega Maria Grazia Mancini, Capo Delegazione FAI di Vasto - Basta sedersi a riva, tra i profumi delle erbe selvatiche e le spalle protette da ordinati filari di preziose uve, soffermando lo sguardo sulla linea d'orizzonte e seguitando il dolce cigolio d'un trabocco che pesca sulla candida scia della luna, per sapere con certezza che l'insana idea di dissodare il mare barattandone l'azzurro con l'opacità nera del petrolio, è una follia senza giustificazioni che reca in se stessa l'odore acre di un'agonia che la bellezza della nostra costa non merita”.
Una prima importante vittoria arriva invece dalla Regione Puglia, che ha presentato un ricorso presso il TAR Puglia contro il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, l'Istituto Idrografico della Marina, il Maridipart e il Maristat. Il MATTM, di concerto con il MIBAC, aveva infatti emanato un decreto recante “Giudizio positivo circa la compatibilità ambientale del progetto presentato dalla Northem Petroleum (UK)” per la Ricerca di idrocarburi al largo delle coste pugliesi. La Regione Puglia ha chiesto l'annullamento di questo decreto oltreché del parere positivo espresso dal MIBAC e dalla Commissione Tecnica di Verifica di Impatto Ambientale. Il TAR Puglia in data 23 giugno 2010 ha accolto e per effetto annullato il decreto emanato dal MATTM in quanto la società Northem Petroleum “ha illegittimamente scorporato il progetto il più lotti su aree di mare […] adiacenti, così impedendo la doverosa valutazione unitaria di impatto ambientale”. La società ha infatti presentato cinque richieste di permessi di ricerca a soli due giorni di distanza uno dall'altro. “Sul punto la giurisprudenza di Stato è concorde nello stigmatizzare il cd. scorporo in lotto di opere aventi carattere unitario al fine di eludere la normativa in tema di impatto ambientale”. Almeno questo attacco sembra per il momento respinto. Attendiamo gli sviluppi futuri, pronti ad intervenire.
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