22 marzo 2015
Andrea Carandini si racconta in un'intervista pubblicata ieri da Repubblica e firmata da Antonio Gnoli. Il sogno è il fil rouge intessuto in questa conversazione intima: due sogni fatti da bambino prefigurarono al futuro Presidente del FAI la sua vocazione all'archeologia che divenne la sua professione dopo una tesi di laurea sui mosaici di Piazza Armerina scritta con la supervisione del celebre archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli.
I sogni sono la base del lavoro di indagine dello psicanalista: secondo Carandini "l'archeologia in qualche modo si può accostare alla psicanalisi. A Freud soprattutto, che ne fa una metafora dello scavo interiore". Alla base del lavoro dell'archeologo ci sono due elementi irrazionali: l'istinto e la curiosità. Senza queste caratteristiche uno studioso non va da nessuna parte".
Continua l'archeologo: "Lo sa cosa si diceva di Roma?Che era stata fondata tra il sesto e il settimo secolo avanti Cristo. Scavo tra le case dei consoli, sotto i magazzini della sacra via e scopro degli edifici che non sono dei templi ma delle case dell'aristocrazia. Che faccio mi fermo? No proseguo. Scopro che sotto c'è un mondo diverso. Affino le mie tecniche stratigrafiche e scopro di essere entrato nel regno delle costruzioni effimere, fatte di legno e d'argilla. E' una Roma che non ci si aspetta, databile intorno alla metà dell'ottavo secolo".
"Nell'archeologia si cerca il limite oltre il quale non c'è più nulla. Si va indietro, indietro, indietro. Perché? Chi ce lo fa fare? Semplice: ogni uomo non può fare a meno della sua origine. E chi va alla ricerca delle origini “deve sapere che il mistero è un soffio d'aria che ti investe, ti accarezza, ma ti può anche far male”.
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